sabato 4 agosto 2007

Un progetto inutile

C.R. Time Machine:Spettabile Commissione Esaminatrice,
vorremmo contestare la vostra decisione di non finanziare il nostro progetto finalizzato alla costruzione di una macchina del tempo.
La Commissione obietta che il progetto è interessante da un punto di vista teorico ma che è privo di ricadute applicative.
Facciamo notare alcune delle possibili ricadute applicative:

  • Potremmo mandare in gita i nostri figli a vedere di persona la Rivoluzione Francese.
  • Potremmo divertirci a cacciare i dinosauri. Si potrebbero organizzare dei veri e propri safari a caccia di tirannosauri (tanto si sarebbero comunque estinti)
  • Analisi degli errori del passato evitando di ricaderci.
  • Soluzione dei grandi enigmi della Storia.
Cordiali Saluti
Centro Ricerche Time Machine


Commissione Esaminatrice
: Spettabile Centro Ricerche Time Machine,
sarebbe sicuramente interessante fermare la mano di tutti gli assassini del passato: mandare a fare un altro mestiere Caligola in modo da distrarlo dai suoi intenti malvagi.Tuttavia, supponiamo che voi riusciate a costruire la macchina del tempo e di mandare qualcuno nel passato. Se questo fosse accaduto già nel futuro come mai il nostro presente è ancora pieno di brutture? Come mai se ci andrete (quindi ci siete già andati) non siete intervenuti ad evitarle? Delle due l'una. O l'assenza di risultati positivi è dovuta al fatto che non riuscirete mai a costruire la macchina del tempo oppure è dovuta al fatto che non la costruirete a fin di bene. In un caso è la logica a suggerire di non finanziare il progetto, nell'altro è l'etica.
Cordialmente
La Commissione


C.R. Time Machine: Spettabile Commissione Esaminatrice,
negli esempi citati nella prima lettera avrete sicuramente notato che non includevano applicazioni che potessero alterare il corso naturale degli eventi. La nostra ipotesi è che sia solo possibile visionare il passato, non modificarlo: ciò che è stato è stato. Questo però non vuol dire che i nostri viaggiatori non possano partecipare al corso della storia in prima persona. Significa semplicemente che le azioni che essi compiranno nel passato sono esattamente quelle che hanno compiuto, a partire dalla loro comparsa improvvisa a bordo della macchina del tempo. Sono azioni che compiranno rispetto al tempo soggettivo della loro vita ma che hanno già compiuto rispetto all'orologio oggettivo della Storia, quindi la logica è salva. E anche l'etica. Se infatti andassimo a trovare Caligola non riusciremmo mai a convincerlo a fare il pittore e non il dittatore sanguinario. Non ci riusciremmo mai perche lui pittore non è diventato come tutti noi sappiamo. Non non possiamo più farci nulla.
Cordiali Saluti
Centro Ricerche Time Machine


Commissione Esaminatrice
: Spettabile Centro di Ricerche Time Machine,
grazie per i chiarimenti. Apprezziamo la distinzione tra modificare il passato (impossibile) e agire nel passato (possibile), tuttavia tutto ciò ci conferma nelle nostre decisioni: il vostro progetto è privo di valore applicativo. Se chi andrà nel passato vi è già stato, e se ciò che farà è ciò che ha già fatto, a che pro investire in una macchina del tempo?
Cordialmente
La Commissione

Don Gelmini (Dio è iscritto ad AN)




Giacomo Galeazzi per “La Stampa”

Come per Carlo V, sul suo impero non tramonta mai il sole: «Quando la sera mi addormento, benedico il Nord, il Sud, l’Est e l’Ovest pensando ai miei figli che soffrono». I compleanni festeggiati in convention via satellite con leader politici e cardinali, una fiction Mediaset in lavorazione sull’«eroica epopea del prete anti-droga», il Mulino Silla trasformato da rudere nella campagna di Amelia in sfavillante «città della speranza», casa madre di una multinazionale della speranza che nei cinque continenti assiste emarginati e accumula crediti nei palazzi del potere civile ed ecclesiastico, il seggio all’Onu come ong. «Abbiamo trovato una casa distrutta e da qui abbiamo iniziato. Eravamo talmente poveri che mangiavamo pane, mortadella e una mela», racconta il magnate della galassia cattolica «non profit».

Tra i mille impegni, Don Pierino, «prete non per caso», si è pure conquistato sul campo i galloni di cappellano e guida spirituale della Casa della libertà. Del resto chiama tutti «figli»: Silvio Berlusconi che gli dona pubblicamente 5 milioni di euro, i profughi del Sud-est asiatico soccorsi per lo tsunami e Alfredo, il primo ragazzo incontrato per caso a piazza Navona nel 1963 e strappato alla droga: «Non voleva soldi, ma una prospettiva». Da allora don Pierino ha rinunciato «alla carriera in Vaticano per imbarcarmi in una corriera piena di balordi».


Adesso ad ogni festa della comunità si affollano decine di ministri e parlamentari, arcivescovi, personaggi dello spettacolo (da Gigi D’Alessio ad Amedeo Minghi), vip di Curia come il vicario papale Angelo Comastri e il cardinale Jorge Mejia. Insomma, trono e altare, palcoscenico e segrete stanze, senza mai temere incursioni in politica. «Grazie Gianfranco per la legge anti-droga! Affido a voi di An il compito di difendere i principi cristiani», incoronò Fini alla conferenza programmatica, davanti alla platea di partito in piedi ad applaudirlo: «Sono con voi, non potevo essere altrove. Credo negli ideali che difendete». Lanciando la crociato contro le unioni di fatto: «Esiste un solo matrimonio, sacro ed inviolabile. Difendetelo!». Quando due anni fa il premier Berlusconi, accompagnato dai ministri Buttiglione, Lunardi e Gasparri, varcò la soglia dell’auditorium Incontro, don Pierino lo fece accogliere da un sacrale «Alleluja» cantato a tremila voci.

Eppure, in pieno Giubileo, aveva bacchettato i «ragazzi» per l’accordo diabolico tra il Polo e l’antiproibizionista Pannella: «Casini, Buttiglione, guardatemi in faccia: ci tradite per un piatto di lenticchie?», tuonò don Pierino. Ci fu bisogno di un «vis-à-vis» chiarificatore con «il buon cristiano Silvio» per esorcizzare l’avvicinamento. Ok chiudere un occhio per benedire la Lega che inneggia al dio Po («Ha mostrato buona volontà rinunciando a perseguire l’indipendenza della Padania»), però Pannella e la Bonino «sono trent’anni che lottano per la legalizzazione delle droghe leggere». E le sfuriate ai leder diventano tirate d’orecchi ai fedelissimi Gasparri e Ronconi.
Alla vigilia delle ultime elezioni, il segretario Dc Gianfranco Rotondi voleva don Pierino al governo: «Noi del Polo chiederemo l’autorizzazione vaticana per nominare don Pierino sottosegretario alla lotta alla droga».
(Pierferdinando Casini - Foto U.Pizzi)

La sua influenza cresce senza sosta anche nella Chiesa. Apre comunità in Spagna e Colombia assieme ai Cappuccini, a Gerusalemme su incarico dell’arcivescovo Michel Sabbah, in Libano e in Siria del Patriarca di Antiochia, Maximos V, in Bolivia della conferenza episcopale. Nel 1990, «colpito dalle sofferenze dei miei malati di Aids», sperimenta su di sé «come cavia» (al San Raffaele, l’ospedale-laboratorio dell’amico don Verzè) il vaccino anti-Hiv. Il 20 ottobre 2000 Giovanni Paolo II, riceve in piazza San Pietro in udienza riservata 30mila «Gelmini-boys» e consacra ufficialmente la «Cristoterapia» di don Pierino come metodo di recupero dall’emarginazione e dalla droga. Ora, una nuova tappa, dolorosa

Don Gelmini e i suoi ragazzi

da Repubblica:

ROMA - Don Pierino Gelmini, il fondatore della Comunità Incontro, è indagato dalla procura di Terni per presunti abusi sessuali. Ad accusarlo, secondo quanto riporta La Stampa di oggi, sono due ragazzi che erano stati ospitati ad Amelia nella struttura contro la tossicodipendenza creata dal sacerdote. Infuria intanto la polemica politica, con il centrodestra schierato in sua difesa.

L'indagine, condotta dal procuratore della Repubblica Carlo Maria Scipio e da uno dei suoi sostituti, Barbara Mazzullo, è in corso da oltre sei mesi e i magistrati hanno già ascoltato diversi testimoni per ricostruire la vicenda. Le dichiarazioni contro don Gelmini sarebbero molte e abbastanza concordanti: pagine e pagine di verbali in cui gli ex ospiti, giovani che hanno avuto o hanno ancora a che fare con la droga, alcuni dei quali sono scivolati nella delinquenza, ripeterebbero sempre gli stessi racconti, riferiti a fatti avvenuti un anno e mezzo fa. Nelle scorse settimane i pm hanno anche già sentito il diretto interessato, che attualmente non è ad Amelia ma in un'altra delle sue comunità.

Mentre la diocesi di Terni ha espresso "sorpresa e incredulità" e ha espresso "fiducia nell'opera della magistratura", secondo Lanfranco Frezza, uno degli avvocati difensori di don Gelmini, "i fatti addebitati sono destituiti da ogni fondamento". Il legale ha poi ricordato che il sacerdote "opera con personale umano molto particolare" e non ha escluso "a priori che possa essere rimasto vittima di una vendetta o di una forma di estorsione". "Siamo costernati ed angosciati ma lieti di portare la croce buttata addosso ad un uomo che per 82 anni ha sempre servito Cristo, la Chiesa e gli ultimi", ha commentato il medico e psichiatra Alessandro Meluzzi, amico e portavoce di don Gelmini. "Chiameremo a raccolta decine di migliaia di giovani, pronti a portarli nelle aule giudiziarie, perché è in momenti come questi che l'intero popolo si stringe attorno al suo pastore".

La polemica politica. Al sacerdote è giunto il sostegno del centrodestra, schieramento per il quale era da tempo un punto di riferimento. "In Italia e in ogni parte del mondo centinaia di migliaia di ragazzi e di famiglie ritrovano la vita e il sorriso grazie all'opera infaticabile di don Pierino Gelmini", ha detto il deputato di An Maurizio Gasparri, la cui "devozione nei confronti di uno dei pochi eroi civili del nostro tempo è convinta e totale". L'Udc Luca Volontè ha parlato di "furore anticattolico" e ha invitato il ministro della Giustizia Mastella a inviare degli ispettori nella procura di Terni. Vladimir Luxuria, deputata di Rifondazione Comunista, ha invece chiesto di "non fare assoluzioni preventive" e di non "assolvere una persona indagata per reati così gravi solo perché è un sacerdote".

mercoledì 1 agosto 2007

Berlusconi chi?

Mentre noi ci preoccupiamo (giustamente) di non far tornare al potere il cavaliere mascarato, fuori dal cortile di casa nostra un certo Murdoch si sta comprando tutto quello che passa sull'etere mondiale e i maggiori quotidiani del mondo. Inquietante.

da La Stampa:

Luce verde all’acquisto di Dow Jones, editrice del Wall Street Journal, da parte del magnate dei media Rupert Murdoch. L’offerta da cinque miliardi dollari era stata recapitata il primo maggio alla famiglia Bancroft che ieri ha fatto trapelare di essersi indirizzata verso una decisione favorevole nonostante l’opposizione di alcuni membri.

Il passaggio di proprietà è destinato a cambiare gli equilibri nel mondo dei media negli Stati Uniti facendo nascere un imponente polo multimediale conservatore che sommando la popolare tv Fox - che vanta un numero di ascolti superiore a tutte le concorrenti messe assieme - ad un quotidiano da due milioni di copie - secondo solo a UsaToday - è destinato a dire la sua anche sulla corsa alla Casa Bianca nel 2008.

Il favore di Wall Street tradisce l’attesa degli investitori per l’impatto di una fusione senza precedenti nel mondo dell’editoria americana, che trasforma Murdoch in un editore globale alla guida di un impero del valore di oltre 30 miliardi di dollari, somma di cento piccoli e grandi quotidiani e di tv su quattro continenti: dal Times di Londra all’Australian di Sidney fino alle tv di Hong Kong ed ora al giornale che venne fondato da Alexander Hamilton.

L’interrogativo è su come cambierà il Wall Street Journal e Murdoch ha già fatto sapere che vuole più fatti di cronaca, più commenti e meno politica. Accusato dagli avversari di essere spietato e fazioso, corteggiato dalla pubblicità come uno dei dominatori dell’etere e amico dei potenti del Pianeta, Murdoch, all’età di 76 anni, è comunque tutt’altro che appagato e guarda al web, dove si è già insediato con l’acquisto di MySpace, per lanciare le prossime sfide. Contando sui consigli della molto giovane e altrettanto determinata moglie cinese, Wendi Chang.

Un pò di storia

Scalfari ci racconta le posizioni politiche del Corriere della sera nei primi del '900. E un articolo lungo ma vale la pena leggerlo.

Scalfari corregge Ernesto Galli della Loggia e quindi Paolo Mieli per un articolo comparso sul corriere in cui si faceva l'apologia di uno dei primi direttori del Corriere.

da Repubblica:

Mi ha favorevolmente colpito l´articolo di Galli della Loggia pubblicato sul Corriere della Sera del 29 luglio con il titolo: «Einaudi, Albertini e gli inviti al silenzio». Ma mi ha anche alquanto stupito. Da molti anni infatti, direi da quando Repubblica iniziò le pubblicazioni e poi in breve tempo raggiunse il Corriere e spesso lo ha superato e lo supera per diffusione e numero di lettori, è stata lanciata polemicamente verso di noi l´accusa di essere un giornale-partito cui il Corriere contrapponeva il proprio modello «albertiniano» mutuato dalla stampa anglosassone, di un giornale al di sopra delle parti che di volta in volta emette i suoi giudizi di approvazione o disapprovazione per l´una o l´altra delle parti in causa, come Minosse che giudica e manda le anime dell´inferno dantesco attorcigliando la sua lunga coda tante volte per indicare in quale girone l´anima del peccatore dovrà scontare la sua pena. Insomma due modi molto difformi di praticare la stessa professione.

Ma Galli della Loggia, che al Corriere non è l´ultimo venuto e nell´articolo in questione risponde a Piero Fassino sulla funzione del giornalismo e quindi scrive a nome e per conto della testata, ci dice invece che proprio il Corriere di Albertini fu un giornale-partito, che intervenne direttamente e incisivamente nella politica nazionale, facendosi portavoce degli ideali e degli interessi della borghesia lombarda e creando in questo modo un grande giornale d´informazione e di orientamento nell´opinione pubblica.

Mi rallegro che finalmente sia riconosciuta e storicamente certificata una realtà che per quanto mi riguarda ho avuto sempre chiara davanti agli occhi. Tanto più chiara in quanto tra il prototipo albertiniano e quello di Repubblica ci furono altre importanti coincidenze strutturali, a cominciare dal fatto che Albertini (come alla Stampa in quegli stessi anni Alfredo Frassati e come è accaduto anche a me) fu al tempo stesso direttore e comproprietario del giornale.

Una circostanza decisiva per fondare (o rifondare come avvenne per Albertini e Frassati) un giornale e farne il punto di riferimento d´una struttura della pubblica opinione con i suoi valori e i suoi legittimi interessi. La favola della neutralità della stampa anglosassone è sempre stata - a mio avviso - appunto una favola. Il solo vero modo di rispettare i lettori, secondo una regola che ho sempre cercato di praticare, è quello di presentarsi per ciò che si è e di stare ai fatti con la maggiore oggettività possibile. Ciò che si è, la struttura d´opinione che il giornale rappresenta, dalla quale prende vigore e spinta e con la quale interagisce quotidianamente. Senza camuffarsi da ciò che non si è, cioè da testimone imparziale, privo di passioni, di convinzioni e di ispirazioni profonde, culturali economiche e politiche.

Questo fu con lucida tempra Luigi Albertini. Questo fu Alfredo Frassati. Questi furono il Corriere della Sera e la Stampa da loro costruiti. E questa, in tempi e modi diversi, è stata ed è Repubblica.
Mi auguro che una volta per tutte la diatriba sul giornale-partito e il giornale-giornale sia chiusa. Un grande giornale è le due cose insieme. Il risultato dipende dalla misura e dall´onestà dell´intento.

L´articolo di della Loggia non si limita però al "format" che Albertini dette al Corriere nei venticinque anni della sua guida di editore-direttore. Passa dalla forma al contenuto, dall´impegno politico e civile agli obiettivi di quell´impegno e racconta quella complessa esperienza del giornale-partito albertiniano partendo da una constatazione storicamente inoppugnabile: il Corriere del primo quarto del Novecento fu la voce della borghesia lombarda, in particolare di quella manifatturiera e in modo ancor più specifico di quella tessile e meccanica, setaiola e cotoniera. E ovviamente del mondo sempre più articolato che ad essa faceva da corona, avvocati, medici, tecnici, inventori, pubbliche utilità e quindi trasporti, la nascente industria elettrica e naturalmente le banche. Le banche che manovravano i rubinetti del credito e finanziavano investimenti e speculazioni.

Il Corriere fu la voce di questi interessi e delle visioni politiche che ne scaturivano: il liberismo, il mercato, il profitto, l´efficienza dei servizi pubblici (ma meglio ancora se gestiti dai privati) e in genere la legge e l´ordine, da applicare in modo speciale nelle vertenze sindacali.
Scrive della Loggia che il Corriere di Albertini fu il giornale antigiolittiano per eccellenza (in opposizione alla Stampa che si schierò in quel quarto di secolo per Giolitti senza se e senza ma, come oggi si direbbe).

Fu esattamente così. Antigiolittiano e sostenitore tenace di Sonnino e di Salandra, un mediocre politico pugliese fortemente conservatore con robuste venature reazionarie. In un solo caso Albertini appoggiò Giolitti e fu nella guerra di Libia contro la Turchia. Perché - anche se della Loggia sorvola su questo punto - Albertini fu un convinto interventista. Non solo nel 1911 ma soprattutto nel 1914 allo scoppio della Prima guerra mondiale. Mentre Giolitti era neutralista, il Corriere gettò tutto il suo peso mediatico in favore dell´intervento a fianco di Francia, Inghilterra e Russia contro gli Imperi centrali. Si trovò accanto i nazionalisti, gli interventisti in genere e soprattutto lanciò Gabriele D´Annunzio in piena trasformazione da poeta a vate.

Le Canzoni d´Oltremare dannunziane avevano già accompagnato la "gesta" libica dalla terza pagina del Corriere, ma poi l´oratoria del vate esplose sulle pagine politiche, culminando nei giorni del maggio 1915 e nel discorso che D´Annunzio pronunciò a Quarto nell´anniversario della partenza dei "Mille" garibaldini alla liberazione-conquista della Sicilia e del Regno Borbonico.
La borghesia padana era tutta per la guerra. Si trattava di completare la conquista dei "sacri" confini della patria. Ma anche di equipaggiare un esercito di sei milioni di soldati: panni per le uniformi, coperte, scarpe, elmetti, ma anche cannoni, esplosivi, corazze per la Marina militare, attendamenti, automezzi d´ogni genere e tipo. E salmerie, viveri, generi di conforto.

La guerra costò all´Italia, ai suoi contadini e ai figli della piccola borghesia quattro anni nel fango e nel lordume delle trincee, seicentomila morti e oltre un milione di feriti, ma fu anche un grandissimo affare per l´industria leggera, per quella pesante e per le banche che le finanziavano.

Luigi Einaudi scrisse nell´immediato dopoguerra uno dei suoi libri più belli e coraggiosi, intitolato “Le conseguenze economiche della guerra”. Ma in quegli anni il giornale-partito albertiniano fu interamente mirato a sostenere lo spirito delle truppe e della popolazione civile che dalle città faceva pubblica opinione. Funzione sacrosanta, alla quale nulla fu risparmiato. Qualche volta tacque e si può capire. Delle esecuzioni sommarie che la polizia militare (i carabinieri) inflissero ai soldati in rotta a Caporetto non si trova traccia nei giornali dell´epoca e meno che mai sul Corriere. Anche allora l´empito maggiore fu dato da D´Annunzio, trasformatosi in «agit-prop» dello Stato Maggiore. E via con la beffa di Buccari, via col volo su Vienna. Via soprattutto con il sostegno incondizionato che il giornale di via Solferino dette all´impresa di Fiume.

Bisogna fermarsi un momento a riflettere su Fiume, anzi sulla marcia di Ronchi. Fu un atto gravissimo di sedizione che pose le basi per la marcia su Roma di tre anni dopo. Un atto contro il trattato di pace da noi firmato, contro il governo italiano, contro le truppe italiane che presidiavano insieme agli alleati Fiume e l´Istria. Conosco bene quella fase della storia nazionale anche perché mio padre fu uno dei giovani ufficiali che seguì il "Comandante" in quella sciagurata impresa. E me ne spiegò più volte le motivazioni che l´avevano mosso: la vittoria tradita, il governo imbelle, il Parlamento incapace di manifestare una qualsiasi volontà, la politica in mano a omuncoli rammolliti e corrotti. Un pilota coraggioso lanciò in quei giorni dal suo aereo un pitale su Montecitorio.
Questo fu Fiume. E il Corriere fece la sua parte intervenendo anche in quel caso. Così come fu interventista nel ‘21 quando spinse in tutti i modi Giolitti a far sgombrare dall´esercito la Fiat, allora occupata dagli operai. Giolitti per fortuna seguì la via opposta della trattativa.

Galli della Loggia ricorda nel suo articolo che Albertini «dopo un iniziale appoggio al fascismo» si schierò su posizioni antifasciste che portarono poi alla sua estromissione dal Corriere. Esatto, ma la verità storica è più complessa e non è proprio quella d´un «iniziale appoggio».
Il Corriere vide nel fascismo e nelle sue squadre una risposta opportuna al sinistrismo massimalista e bolscevico che minacciava il mercato e la libera impresa. Gran parte del ceto liberale condivise questa posizione, a cominciare da Benedetto Croce, Giovanni Gentile, Giustino Fortunato. Poi, pensavano quei liberali, compiuta l´opera Mussolini se ne tornerà a casa, gli si darà un lauto benservito e l´Italia liberale riprenderà la sua marcia verso il progresso.

La borghesia lombarda fu compatta nel condividere l´ "Operazione Mussolini" e i suoi portavoce lo furono altrettanto. Distacco all´inglese? Non direi proprio. Basta leggere le lettere e le telefonate che partivano da via Solferino verso la Prefettura di Milano sull´impiego della polizia e della guardia regia per reprimere le manifestazioni della sinistra; basta consultare il carteggio tra Albertini e Giovanni Amendola che fu in quel periodo suo corrispondente da Roma per rendersi conto che il pericolo era il bolscevismo e i fascisti un supporto e uno stimolo a resistere. Opinione legittima, in quel contesto. Purtroppo sbagliata su un punto essenziale dal quale ebbero inizio vent´anni di regime e quel che ne derivò. Allora, come molti anche oggi, si invocava l´uomo forte che ripulisse le stalle e recuperasse «law and order».

Albertini era stato nominato senatore del Regno. E già dal ‘23 capì l´errore e ne prese coraggiosamente le distanze. Pronunciò alcuni discorsi e scrisse interventi memorabili in difesa della libertà e della democrazia. Il Corriere, allora diretto da suo fratello, non fu da meno.
Ma era tardi. Il 3 gennaio del ‘25, pochi mesi dopo il delitto Matteotti, il governo impose la censura, sciolse i partiti, abolì di fatto la libertà di stampa. Il Corriere fu dato in proprietà ai consoci di Albertini, membri per l´appunto della borghesia lombarda. In quegli stessi mesi Frassati fu estromesso con analoga procedura dalla Stampa che passò in proprietà alla famiglia Agnelli.
A conclusione debbo dire che la borghesia lombarda di allora non dette uno spettacolo particolarmente edificante.

Oggi la situazione è diversa. Di borghesia vera e propria ce n´è assai poca in giro e sembra un po´ più saggia dei suoi predecessori. Ma c´è un altro tipo di sedicente borghesia con analoghe lacune culturali e ossessiva attenzione alla «roba». Inclusa l´invocazione dell´uomo forte, fosse pure il recupero di quello che abbiamo visto alla prova nell´ultimo quinquennio, che poi si scoprì che non era forte affatto se non quando si trattava dei fatti propri.

Commenti

Sul tema ci sono un pò di dichiarazioni da registrare:

Rosy Bindi:"Di fronte al caso Mele, l'onorevole Cesa doveva fare un'unica cosa: chiedere scusa agli elettori per aver imposto loro un personaggio come quello. Sì, perché ce l'ha messo lui nella lista. Cesa ha toccato aspetti importanti, delicati, come la solitudine, le famiglie divise dal lavoro, ma mi pare che non sappia maneggiare questi temi, che attengono al sentire più profondo. Riesce solo a ridicolizzarli"


Lidia Menapace:"Questo padre della patria [Cosimo Mele], di 50 anni, coniugato, con un figlio in arrivo, vada a raccontare a qualcun altro che non si è accorto di chi frequentava, che si è limitato a fare un "regalino" in denaro. E' una storia miserevole, una cosa bieca, provo un vago schifo"."Bella l'idea delle mogli dei parlamentari spostate come pacchi a Roma. Mi chiedo se anche i mariti possano usufruire del ricongiungimento. E pongo al segretario Udc il problema dei vedovi come me. Non hanno forse diritto ad un bonus per poter affogare nel whisky la loro solitudine?"

Daniela Santanché:"Le vere vittime sono le due donne protagoniste, la moglie e la prostituta. Storie ovviamente diverse come diverse sono le loro scelte di vita. A unirle, un unico dolore, perché il dolore è unico, ad umiliarle, un unico carnefice. Penso alla moglie così fragile e penso all'altra, alla puttana, sputata alla fine della storia come fosse un ossicino di pollo..."

Orgia Party

Ci sono 3 motivi fondamentali per insistere sulla faccenda del parlamentare Cosimo Mele:

1) è un personaggio pubblico e in quanto tale le leggi sulla privacy si affievoliscono non poco. Anche la Cassazione dichiara che se un personaggio è pubblico per definizione stessa non può pretendere di essere tutelato come i cittadini comuni (l'hai voluta la bicicletta? ora pedali).

2) il secondo motivo secondo me molto più importante è che la notizia riguarda un deputato che appartiene ad un partito che rompe i maroni tutti i santi giorni fcendosi il baluardo dei valori cristiani e per il quale la distanza tra quello che predica e come razzola sta diventando davvero imbarazzante.

3) la reazione vergognosa di Cesa che invece di condannare alle fiamme dell'Inferno il deputato (come ci si aspetterebbe da lui non certo da me) quasi lo giustifica, "la solitudine dei deputati"...

Se sui giornali comparisse la notizia di un'orgia in cui partecipasse,dico per esempio, Luxuria (con tutto il rispetto per questa parlamentare molto, ma molto, più "pulita" e coerente di tanti deputati timorati di Dio a parole) la notizia mi avrebbe scandalizzato molto meno anzi avrei sbottato con un "Embè?Saranno fatti suoi."

Di seguito l'intervista a Grillini sull'argomento con alcune nuove indiscrezioni.

dalla Repubblica:

ROMA - Onorevole Franco Grillini (sd), possiamo considerare chiusa l'avventura dell'onorevole Mele?

"Direi proprio di no, per due ragioni. La prima di natura politica, la seconda di tipo tecnica. Quella politica è perché siamo di fronte a un clamoroso scandalo che segna la contraddizione tra il partito che fa dell'estremismo radicale la sua ragion d'essere e comportamenti quotidiani che vanno in direzione opposta. Voglio dire che l'Udc non può firmare progetti di legge proibizionisti e sessuofobi e poi organizzare coca-party con corredo di mignotte durante la notte".

Onorevole, la privacy...

"Sono il primo a rispettarla. Ma da un politico pretendo coerenza e trasparenza. Mele non ha vuto né l'uno né l'altra".

Parlava di "questioni tecniche" per cui la vicenda non può essere chiusa.

"Ci sono molte incongruenze tra il racconto della ragazza Francesca Z. e quello dell'onorevole. Le due testimonianze non tornano..."

C'è un'inchiesta della magistratura.

"Io sono garantista e quindi sono il primo a dire vediamo se e quali reati saranno accertati. Ma ci sono colpe che non sono reato penale e pesano ancora di più".

Cosa non la convince?

"Cominciamo dalla cena. Mele racconta che venerdì sera ha lasciato la Camera - per inciso ricordo che noi ci siamo stati fino all'una e tre quarti per votare l'ordinamento giudiziario - ed è andato a cena da Camponeschi in piazza Farnese. Qui ha incontrato l'amico e la ragazza. Vorremmo sapere chi è l'amico, giusto per sgomberare il campo da dubbi".


Tipo?

"Il dubbio si riallaccia alla seconda incongruenza. Perché nella suite del Flora intorno alle tre di notte arriva una seconda ragazza a cui Mele allunga 300 euro? A quella che era a cena ricordo che ne ha dati 500, di euro".

E poi?

"In molti, non sono il solo, ci chiediamo se c'era qualcun altro in quella suite del Flora. E poi, chi ha portato la cocaina? Perché l'ambulanza è arrivata così tardi rispetto al malore della ragazza? Circolano versioni opposte?"

Lei sembra molto accanito.
"Non è accanimento. E' che sono stufo dell'ipocrisia. Mele nasconde qualcosa".

Vabbè, ha lasciato, si è dimesso, è disperato per la moglie e i figli...
"Si è dimesso dall'Udc, mica da parlamentare. L'onorevole Mele è diventato membro del Gruppo misto, andrà a guadagnare anche di più. E poi vediamo cosa succede tra qualche mese. Sono pronto a scommettere che tornerà al gruppo, sull'onda lunga del perdonismo italico".

Il segretario Cesa vede la questione da un altro punto di vista: la solitudine della vita del parlamentare nella capitale...
"È stupefacente come le dichiarazioni di Cesa anziché insistere sulla palese contraddizione tra il suo parlamentare e la politica moralista del suo partito, parli di tutt'altro, come se volesse sviare il discorso. Allora dico che o Cesa è uno sprovveduto. Oppure fare discorsi sull'aumento degli stipendi dei parlamenti, ancorché smentiti il giorno dopo, per favorire bizzarri e presunti ricongiungimenti familiari, mi sembra significhi voler menare il can per l'aia e voler parlare d'altro. O sbaglio?"

Che aria tira a Montecitorio?

"Battute a raffica. E i più dicono che è stato uno sprovveduto. Io ho coniato il genere dei moralisti puttanieri".

Domattina l'Udc organizza il test collettivo antidroga per i parlamentari davanti a Montecitorio e siete stati tutti invitati da Cesa, via email.

"Ecco, quando dico che non ne posso più dell'ipocrisia. Come l'annuncio di Casini che si sposa".

Che c'entra?

"C'entra. Si sposa in comune perché si è già sposato in chiesa. Per la Chiesa resta comunque e sempre un concubino".

martedì 31 luglio 2007

Una buona notizia

Sì della Camera alle dimissioni

Previti non è più deputato
Con 462 favorevoli, 66 contrari e 6 astenuti, Montecitorio ha accettato le dimissioni del deputato di Forza Italia condannato in via definitiva a 6 anni per il caso Imi-Sir.

Ancora su Cosimo Mele

Pare che l'argomento sia molto piaciuto ai commentatori di tutti i giornali.
posto Michele Serra (vai Michele!) e poi Andrea Marcenaro


Michele Serra per “la Repubblica”
Nessuno butti la croce addosso al povero onorevole Cosimo Mele, travolto da una storiellaccia di prostitute e cocaina. Ma tutti gli chiedano, per cortesia, di ritirare immediatamente la sua firma da virtuose iniziative di legge moralizzatrici, tipo quella sul test antidroga obbligatorio. Ne abbiamo le tasche piene, francamente, di politici (soprattutto di centrodestra, soprattutto ferventi cattolici) che disegnano per la Nazione tracciati di castità e morigeratezza, però con ampie deroghe per se stessi. Divorziati che inneggiano alla famiglia monogamica, puttanieri che amano molto il papa, bigami che sfilano al Family Day, tutti uomini di mondo in privato e bacchettoni in pubblico.

Abbiamo tutti fatto il militare a Cuneo, ma proprio per questo cerchiamo di evitare di impartire lezioncine agli altri. Non ci stancheremo mai di ripetere che nel centrodestra quattro leader su quattro sono divorziati: status assolutamente legittimo, perfino spiritoso nel caso di autorevoli esponenti del mondo cattolico. Ma tale da rendere ridicolissime le prese di posizione contro la "deriva laicista". L´onorevole Mele avrà tutta la nostra simpatia se diventerà il capofila di una crociata smoralizzatrice all´interno del suo schieramento politico, che pullula di ipocriti.


Andrea Marcenaro per “Il Foglio”
Il problema non è, prendiamo un giornale a caso, se l’Unità ironizza “sulla vita da cristiano, anzi, da democristiano” dell’onorevole Cosimo Mele. Che è molto colto, molto raffinato. Cosimo Mele essendo infatti un Sircana, o un me, o un te, cui sembrava andare più bene che male, nella prima parte della serata, e più male che bene nella seconda. Che capita. E si capisce che l’Unità ci picchi dentro. Che ci ironizzi. E che maramaldeggi. Fa parte del gioco. Dopo tutto, Cosimo Mele è un Sircana dell’Udc andato troppo a segno. E alla deriva, purtroppo. Il problema non è nemmeno che l’Unità, o chi per essa, picchi duro sul Mele d’albergo nel giorno stesso in cui ha difeso il sacrosanto diritto a un simil-pompino al Colosseo. C’è differenza, che diamine. Il pubblico, il popolo, le minoranze, la politica e il privato. Anche questo è molto colto e raffinato. Il problema non è dunque se l’Unità ci marcia, oggi. Il problema è se, un domani, il Corriere della Sera pubblica un’intercettazione dove, per dire, il compagno D’Alema telefona a una tipa tutt’altro che consorte, e le fa: “Vai, facci scopare!”.

Polemicuzza

Sebastiano Messina di Repubblica su Pietro Ostellino

Una grande lezione di liberalismo ci è stata impartita dall´ex direttore del Corriere della Sera, Piero Ostellino. Il quale ha solennemente spiegato al ministro dei Trasporti (Alessandro Bianchi, comunista) che l´autovelox è oggi il perfido strumento di un «regime illiberale», perché multando chi va a 200 all´ora «non si punisce un´azione colpevole di danneggiare qualcuno, ma solo il mancato rispetto di una norma». Uno Stato che insiste a prevenire anziché a reprimere, conclude Ostellino, finirà per accusare il cittadino maschio «di andare in giro con qualcosa che gli permetterebbe di consumare uno stupro».



Nessuno, dunque, deve essere punibile finché non fa del male al prossimo, ovvero fino al momento dello schianto. L´assioma di Ostellino conduce a ritenere palesemente illiberale anche la punizione per chi guida ubriaco o dopo essersi fatto una pera (che oggi è il carcere, sotto la tirannia americana e la dittatura inglese). E ci spinge anche a considerarci fortunati, perché viviamo in una culla del liberalismo, un Paese nel quale non solo si può correre a 200 all´ora senza essere beccati (quasi) mai, ma si possono scrivere articoli sui giornali senza che nessuno ti possa chiedere la prova del palloncino.

Previti

(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Quando l'Aula della Camera era sul punto di votare la proposta della giunta per le Elezioni di dichiararlo decaduto, Cesare Previti ha presentato tramite il capogruppo di Forza Italia, Elio Vito, le sue dimissioni da deputato. L'annuncio, contenuto in una lettera al presidente della Camera, Fausto Bertinotti, sospende la procedura di decadenza. Le dimissioni dovranno essere votate dall'Aula per prime. Lo scrutinio sara' a voto segreto, anziche' palese come quello sulla decadenza.


N.B.
per la decadenza il voto è palese (e quindi Previti sarebbe spacciato, chi si sognerebbe mai di non votare la decadenza da deputato per uno così, di fronte a tutti gli italiani?) per le dimissioni il voto invece è segreto e quindi qualcuno può farsi coraggio e aiutare il povero avvocato perseguitato dalla magistratura.

Chiamate un'ambulanza!

Ferrara è impazzito.
Un articolo anonimo e quindi di G.Ferrara sul Foglio. Da leggere con stupore e sbigottimento insieme.

Da “Il Foglio”


E ditelo: di rancore trattasi. Tutto odio verso la fi-ca. Un pregiudizio dettato dalla tirannia del frocismo obbligatorio che brucia addosso alla notte brava di via Veneto. Se invece che con due sventole, Cosimo Mele – 50 anni, una moglie, tre figli, deputato neodemocristiano dell’Udc – se invece che con due escort o donnine allegre che dir si voglia, all’Hotel Flora della già Dolce Vita avesse fatto il botto con due marchettari, si sarebbe dimesso dal partito come ha dovuto fare ieri, ma sarebbe stato acclamato eroe dai giornali del potentato finanziario, dagli intellettuali riflessivi, dai Cecchi Paoni e dagli sbaciucchiatori di via dell’Impero: tutti quegli invertiti che, invece di cercare farfalle sotto l’Arco di Tito, vanno a procurarsi sodomie e bislunghi pasti appetitosi per poi starnazzare davanti ai Carabinieri.

(Cosimo Mele)

Nel frattempo che i radical chic andavano in via Veneto, Mele invece c’è rimasto. E ditelo, allora: avete massacrato Salvatore Sottile, il portavoce di Gianfranco Fini, solo perché s’intratteneva in goduriosa conversazione con Elisabetta Gregoraci. Fosse stata lei un tronista invece che la gran bella figliola che è, avrebbe avuto il suo bel salto sociale il Sottile, la sua presentabilità e magari starebbe oggi nel pieno del dibattito sui diritti delle minoranze.
(Salvo Sottile - Foto U.Pizzi)

Minoranze un par di strùmmoli, giusto per parlar toscano, se non è poi vero che a dettar legge oggi sono gli odiatori della femmina femminosa, gli estetisti dello spirito del tempo che sono nemici dei praticanti della via regolare, quelli che giustamente – anche da custodi della famiglia – una batteria con due femmine a letto se la farebbero più che volentieri (ad averci la forza, la fortuna e la pazienza). Prova ne sia che Silvio Sircana, il portavoce di Romano Prodi, fotografato in atto di muta osservazione con femmina di genere transessuale ha avuto tutta la comprensione necessaria. E prova ne sia la vicenda di Lapo Elkann. Trans e cocaina. Tutto perdonato (e da cosa avrebbe dovuto dimettersi, povero ragazzo: dalla 500?). Avessero avuto a che fare con la fi-ca, invece che con l’altra cosa, sarebbero stati macinati via.
(Il portavoce prodiano silvio Sircana mentre chiede ''indicazioni'' ad un trans - Foto da La Stampa)

E ditelo: dov’è il reato di questo pover’uomo, il Mele appunto? La cocaina? Potrebbe non averla presa e c’è da crederci. Di fronte al bendiddio di un due più uno descritto dalle cronache, che se ne deve fare dell’alcaloide? E ditelo: non avete forse fatto solo rallegramenti quando Emilio Colombo venne scoperto a trafficar di polvere? “Ma che eleganza e che stile”, si disse. Ditelo: tutto in gloria, certo, ma tutto perché consumato in assenza di femmina, ci fosse stata quella fisima lì – la fi-ca – quella musica indescrivibile, quella poesia, quell’endecasillabo infinito fatto di buio, profumo e umidità, perfino il senatore Colombo, meritatamente padre della Patria in quota Ulivo, sarebbe stato gettato nella pattumiera degli abissi vongoloidi degli italiani.
(Il senatore Emilio Colombo - Foto U.Pizzi)

Ma ora parliamo noi. Siete andati al Colosseo per il Bacio-Gay di solidarietà coi i due fidanzatini? Venite davanti all’Hotel Flora per il Mele-Day, fatela fino in fondo la strada libertaria, sottoscrivete la solidarietà a Cosimo, eroe di paese, combattente di quell’idea smarrita nel frattempo che siete andati a cercare i diritti, i pacs, i dico e i non dico della modernità laica. Laida altro che laica la vostra modernità, nemica della femmina portatrice di piacere. E rimpiangete il bel tempo cattolico: quando mai i credenti nella Resurrezione hanno negato la crapula del corpo? Dove ci sono campane, ci sono buttane.
Portate campane all’Hotel Flora.


Fonte Dagospia

UDC. Una Prece.

Mai articolo fu più divertente e vero come il seguente.
Bellissimo!

Francesco Merlo per “la Repubblica”


Come Newton scoprì la legge di gravità dalla caduta di una mela, cosi lo scienziato sociale Lorenzo Cesa ha scoperto la legge del coito parlamentare dalla caduta di un Mele. Riflettendo infatti sulla mirabile vicenda sessuale dell´onorevole Mele, che ha detto di essere stato posseduto – suo malgrado – da una prostituta, lo statista planetario Lorenzo Cesa, segretario del virtuosissimo Udc, il partito del latinorum, della messa ratzingeriana in latino, ha accolto le dimissioni di Mele.



Ma ne ha compianto "la solitudine e la vita dura" e ha infine proposto la legge del rimborso coitale, o meglio, del risarcimento del coitus obstruitus atque obliteratus. Eccola: gli eletti alla Camera o al Senato devono avere "la moglie sempre pronta" come dicevano i contadini di Roma antica, Venus semper parabilis, perché dopo una giornata di fatica, di zappa e terra, mancano tempo ed energia per sedurre "ragazze in cerca di avventura". E´ dunque giusto, incalza il dotto Cesa - in accordo con un non meglio precisato alto funzionario della Camera - che lo Stato paghi all´onorevole l´indennità di astinenza. Insomma: il costo della moglie semper parabilis al seguito, oppure le sozzerie.

Ebbene, a noi il ragionamento di Cesa sembra così inverosimile e scellerato che abbiamo deciso di migliorarlo. Perché non proporre "l´indennità di Priapo" alle parlamentari, signore e signorine, e "l´indennità di Venus" agli onorevoli maschi? Per i trans, i gay e le lesbiche diamo a Cesa quel che è di Cesa, e dunque ci rimettiamo alla sua saggezza informata a cultura e profondità di studi. E si potrebbe continuare organizzando una fiaccolata postribolare in via Veneto per ricordare il martirio di Mele il solitario, con una raccolta di fondi per una prima sistemazione del coito parlamentare che, per limitarci al cortile di casa (chiusa) nostra, già Cavour, Einaudi e Bobbio intravedevano come necessità statuale, guaina preservativa contro le brutte avventure della democrazia negli hotel di via Veneto che sono a rischio piattole, luoghi dove le prostitute si spacciano per Mary Poppins confondendo gli ingenui onorevoli di turno.

Stia attento il lettore: a dispetto del tono che stiamo usando, questa non è una storia di peccato, ma di vizio. L´orgasmo di Mele non è più riferibile all´Italia crapulona di Tognazzi, ma alla Costituzione reale della sordida Italia che di giorno discrimina i gay e di notte se li fa portare in Camera. Molti italiani - la gran parte - potrebbero pure chiudere un occhio, anche in segno d´intesa, sul deputato adultero e magari anche sul ministro con la mantenuta, perché in fondo da rappresentanti simili si sentirebbero forse ben rappresentati. Ma ci fanno venire l´orticaria quei viziosi politici che, proprio come l´onorevole Mele, montano campagne contro la droga e poi sniffano coitando; che divorziano ma rumoreggiano in difesa dell´indissolubilità del vincolo familiare; che chiedono di schedare i clienti della prostituta, alla quale riservano la definizione di "ragazza in cerca d´avventure" solo quando "batte" nelle loro alcove.



Che quello di Mele non sia un eccesso su cui chiudere un occhio, una banale boccaccesca storia di adulterio, un dignitoso peccato su cui indulgere, lo si capisce dal cinismo usato a copertura del ridicolo. L´onorevole, infatti, ha chiesto perdono alla moglie e ai figli, al partito, alla patria, ma non alla ragazza che con lui si è drogata, finendo da sola in ospedale: «Non l´ho pagata ma le ho fatto un regalo in denaro». L´onorevole, il quale dice persino - proprio così! - di essere orgoglioso di sé, non ha pensato che quel drogarsi era la sola maniera possibile di stare con lui. No: lui non voleva, lui è stato sedotto, «non sapevo nemmeno che quella signora facesse quel tipo di prestazioni», certe donne - si sa - sono ladre di sperma.

Secondo la ragazza, l´onorevole non voleva neppure chiamare l´ambulanza. Certamente non l´ha accompagnata, e se ne è liberato. A tutti i costi non voleva essere compromesso perché, come dice l´adagio, "il sesso non vuole pensieri".
Rimane vero, ma non gli fa onore, che l´onorevole Mele non è lussurioso come Sardanapalo, non è libertino come Casanova, non è trasgressivo come Oscar Wilde e non è neppure uno sciupafemmine casereccio alla Vittorio Sgarbi. Degrada le atmosfere di "Totò, Peppino e la malafemmina", rende greve la debauche al borotalco dei calendari dei barbieri della sua Carovigno, a pochi chilometri da Brindisi, paese di mandorle, olio ed etnia apulo-pakistana per dirla (sempre) con Amato.

Insomma, mai ci saremmo occupati di questo minuscolo rappresentante del popolo carovignonese o carovignacciano se, come dicevamo all´inizio, non fosse intervenuto l´onorevole Cesa, calabrese, segretario del partito di Casini, di Buttiglione, di Giovanardi, del partito dei pellegrinaggi organizzati dal cappellano della Camera, teologo e rettore dell´Università pontificia monsignor Rino Fisichella. L´Udc è uno dei partiti del Papa oltre che di Cuffaro, è votato dal 6, 7 per cento degli italiani, è il partito dei molti inquisisti, è il partito dello zelo puritano che è sempre losco, scivoloso e sporco. Il caso Mele-Cesa lo certifica: l´Udc è il partito dei falsi buoni cristiani che si battono contro i peccati, per il trionfo del vizio.

Senza Parole

da Repubblica:

Il leader del partito di Cosimo Mele, il deputato coinvolto nella notte a luci rosse in un albergo di via Vittorio Veneto, ieri aveva detto: "La solitudine è una cosa seria e la vita da parlamentare è una cosa dura per chi la fa seriamente". Per cui, ed ecco la proposta Cesa, distribuiamo più soldi ai deputati affinchè possano ricongiungersi con la famiglia.
"L'Udc - puntualizza il partito - difende con convinzione l'unità delle famiglie, di tutte le famiglie, e dunque anche di quelle dei parlamentari, convinta che vivere ed operare avendo affianco i propri congiunti, consenta maggiore serenità"

gli effetti del caldo torrido su una mente fragile come quella di Cesa.

lunedì 30 luglio 2007

No Martini...

Da La Repubblica

Per lui, ormai, la messa in latino ha più che altro il sapore evocativo della memoria, degli anni della giovinezza e dei suoi primi studi da sacerdote. Ma ritornare a celebrarla adesso, questo no. Il cardinale emerito di Milano, Carlo Maria Martini, sceglie di voltare definitivamente le spalle all´antico rito, liberalizzato da papa Benedetto XVI nel motu proprio "Summarum Pontificum" che entrerà in vigore il prossimo 14 settembre.


Il cardinale, in un suo intervento sul supplemento domenicale de "Il Sole 24 Ore", non critica apertamente la scelta di Ratzinger, del quale «ammira la volontà ecumenica a venire incontro a tutti». Ma la presa di distanza dal pontefice - che ha ripristinato la modalità di celebrazione precedente la riforma del Concilio Vaticano II del 1970 - è palpabile.

«L´antico rito è stato quello della mia prima comunione, delle incipienti esperienze di chierichetto, della mia ordinazione sacerdotale» ricorda Martini, quasi con nostalgia. Ma sono tre i motivi per i quali il cardinale, alla fine, dice di no ad una liturgia pure da lui praticata nel corso di 35 anni di vita.

Per prima cosa, il ritorno ai vecchi riti rappresenterebbe per Martini l´allontanamento da quell´apertura sociale voluta 37 anni fa da Paolo VI che, per tanti fedeli, «ha costituito una fonte di ringiovanimento interiore e di nutrimento spirituale», nonché «un bel passo avanti per la comprensione della liturgia e della sua capacità di nutrirci della Parola di Dio, offerte in misura molto più abbondante rispetto a prima».

Ancora, Martini non nega il timore del ritorno di un sapore un po´ asfittico nell´esperienza delle fede: «Non posso non risentire quel senso di chiuso che emanava dall´insieme di quel tipo di vita cristiana così come allora si viveva, dove il fedele con fatica trovava quel respiro di libertà e di responsabilità da vivere in prima persona di cui parla san Paolo».

Infine, il cardinale si sente chiamato in causa anche come pastore che ha compreso «l´importanza di una comunione anche nelle forme di preghiera liturgica che esprima in un solo linguaggio l´adesione di tutti al mistero altissimo».

Bacio Gay al Colosseo

Gianni Vattimo dà il suo parere sulla vicenda dei due gay fermati vicino al Colosseo (uno dei due di Lecce, F.M.). Concordo su tutto quello che dice anche se non penso che i carabienieri siano omofobi come categoria. Almeno non più del resto della società.



VATTIMO: ACCANIMENTO SUI GAY, MA IO NON BACIO IN PUBBLICO

il Corriere della Sera
Alessandro Trovino
«Io in pubblico non ho mai baciato nessuno. Però c'è dell'accanimento nell'andare a stanare le coppie con la torcia». Gianni Vattimo non è di quelli che si nascondono. Già maoista, poi diessino e comunista italiano, ha liquidato la sinistra come «una porcata» e D'Alema come un politico «da rottamare». Attivista di Azione cattolica, nel tempo ha maturato una decisa propensione a bistrattare tutto quello che odora di incenso e clero. Cresciuto eterosessuale, ha fatto il suo outing pubblico nel '76 con il Fuori di Angelo Pezzana. Qualche anno fa ha serenamente dichiarato di avere una relazione con un ventenne cubista, nel senso della discoteca. «Battitore libero del pensiero», Vattimo ha il dono dell'anticonformismo e della sincerità, talvolta ai limiti del brutale. È uno, per dire, che si autodefinisce «frocio» e non omosessuale. E per il quale «non basta essere gay per essere intelligenti».

E dunque, professore, ha visto? Gay che si baciano e carabinieri che li portano via come delinquenti. La solita Italia omofoba?

«Le versioni contrastano. Si parla di bacio o di altro. A me è venuto in mente Clinton: lui sosteneva che il sesso orale non è vero sesso».

Lei crede ai ragazzi o ai carabinieri?
«È tutto molto ambiguo. Certo, se tra i due giovani era in corso un rapporto orale in mezzo alla strada, forse non va proprio bene».

Però?
«C'è qualcosa che non quadra. Le cronache dicono che sono stati illuminati dai fari. Quindi erano al buio, non visibili».

Al buio tutto è lecito?
«Non si può ovviamente rivendicare il diritto di fare sesso sulla pubblica via, ma il concetto di osceno prevede che qualcuno guardi o possa guardare».

E non è il caso?
«Mi pare che ci sia dell'accanimento nell'andare a stanare la gente con le pile. Che male c'è a stoccacciarsi un po' al buio? Sa quante cose si vedrebbero nelle camere da letto se si aprissero le finestre e si inquadrassero le persone con le torce?»

Però quei due erano in luogo pubblico.
«L'altro giorno sono passato da via Salaria. C'era una signorina, chinata, che offriva il suo sedere nudo ai passanti. Probabilmente lo fa tutte le sere assieme alle colleghe. E non mi pare che intervenga qualcuno. Il concetto di osceno va e viene».


Se fosse stata una coppia etero si sarebbe chiuso un occhio?
«Credo proprio di sì, c'è più indulgenza con gli etero. Detto questo, forse i due addolciscono la cosa e sono andati un po' oltre. Ma la reazione dei carabinieri mi pare eccessiva».

È il frutto di una cultura omofoba?
«Si sa qual è il modo di pensare delle forze dell'ordine. Basta andarsi a rileggere le cronache del G8 di Genova. E guardi che mio padre era un agente. In America sfilano i poliziotti gay. Se l'immagina da noi?».

Ha mai avuto problemi con le forze dell'ordine?
«Quarant'anni fa, a Torino, al parco del Valentino, noto luogo di dragaggio gay. Una sera ero in auto, era la prima volta e avevo un po' paura. Ho visto un ragazzino, credo un marchettaro, maltrattato dalla polizia. Ho sentito il dovere cristiano di soccorrerlo — guardi un po' dove si nasconde a volte il dovere cristiano — e sono intervenuto. Mi hanno identificato e mi hanno rimproverato: ma come, anche lei, professore... Però non stavo facendo nulla».

C'è ancora omofobia in Italia?
«La discriminazione si vede da tante cose. Io mi infurio sempre negli alberghi: non perché ami particolarmente il porno, ma nelle pay tv non ci sono mai film omosessuali. Al limite di lesbiche, per voyeur etero. È una discriminazione che grida vendetta. I gay non si devono vedere. E infatti neanche loro si mostrano».

Invece li si accusa spesso di esibizionismo.
«Non vedo gay che si baciano in pubblico da anni. Sanno che la società non lo consente. È una questione legata anche ai Dico: come non si accetta la istituzionalizzazione di un rapporto gay, così non si accetta la loro visibilità. Per questo c'è il Gay Pride, che io non amo anche per ragioni estetiche. Lì si fa dell'esibizionismo a fini di provocazione politica. Finché ci sarà un prete a scandalizzarsi avrà un senso».

Qualcuno torna a rivendicare il senso del pudore.
«Giusto, io preferisco una società dove non si vede tutto. Del resto non ho mai baciato in pubblico nessuno. Neanche quando credevo di essere eterosessuale ».

Ci sarà oggi al bacio collettivo di protesta?
«Sono all'estero. E comunque dovrei trovare qualcuno che voglia baciarmi».

Il «kiss in» sarà al Colosseo. Giovanardi dice che è scandaloso che accada dove c'è la via Crucis e dove c'erano i martiri cristiani.
«Giovanardi vince il premio Nobel per la trombonaggine. Al Colosseo si fa da sempre, ci andai anch'io molti anni fa, non feci nulla perché mi mancava la materia prima. Temo che vicino a quelle mura si praticasse sesso selvaggio anche allora, al tempo dei martiri».

Sepolcri Imbiancati (coca?)

da Repubblica:

ROMA - La Procura della Repubblica di Roma aprirà un fascicolo sulla vicenda a luci rosse che ha coinvolto il deputato dell'Udc Cosimo Mele. L'indagine prenderà l'avvio non appena all'ufficio del pubblico ministero la polizia presenterà un rapporto sui fatti accaduti all'hotel Flora, dove il parlamentare si era incontrato con due donne, una delle quali è stata ricoverata per aver assunto droga.

Alla relazione della polizia sarà anche allegato il referto dal quale sarebbe emerso che nel sangue di F. Z. sono state trovate tracce di cocaina. Il magistrato che riceverà il fascicolo, intestato "atti relativi", dovrà valutare se ci siano fatti penalmente rilevanti e valutare la posizione dei protagonisti della vicenda.

"Poco importa - hanno spiegato a palazzo di giustizia - che la ragazza non abbia presentato una denuncia contro il parlamentare o che non siano stati individuati estremi di reato da parte di chi ha verbalizzato il suo racconto. Questa è una valutazione che faremo noi".

Accolte le dimissioni dall'Udc. Intanto il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa, in una conferenza stampa alla Camera, ha annunciato di aver accolto le dimissioni presentate da Mele: "Sono profondamente amareggiato per quello che è accaduto", ha esordito il segretario dell'Udc, ma poi ha aggiunto: "Ieri mi ha correttamente informato dell'accaduto e ha riconosciuto di aver sbagliato. Ma il suo comportamento non è compatibile con il partito. L'unica cosa positiva è stato rassegnare le dimissioni dall'Udc che io ho immediatamente accettato.".


Test antidroga ai parlamentari. Confermato dunque l'appuntamento organizzato dall'Udc mercoledì mattina davanti a Montecitorio per il test antidroga ai parlamentari. E per i deputati del partito, l'esito dell'esame sarà pubblico: "Noi continueremo le nostre battaglia testa alta", ha detto Lorenzo Cesa.

Mele: "Droga? Non ne so niente". Ma il parlamentare si difende dall'accusa di uso di stupefacenti e, pur ammettendo di aver trascorso la notte con una donna, giura: "La droga neppure l'ho vista": "Quella signora - afferma il deputato - l'ho conosciuta a cena, presentata da amici". Hanno trascorso la serata insieme in una suite all'hotel Flora in via Veneto ma dopo, assicura Mele, "ognuno è andato a dormire in stanze diverse della suite". Di cocaina l'onorevole dice non solo di non averne fatto uso, ma nemmeno di averla vista: "Forse quella donna ha preso delle pasticche. Che ne so: io dormivo". Mele insiste anche sul fatto che lui era in compagnia di una sola ragazza; la seconda, dice, l'ha chiamata l'altra: "A un certo punto poi se n'è andata e non so più niente".


alcune domande qualunquiste e populiste:
1) il deputato dice di non aver fatto uso di droga e di non aver nemmeno fatto sesso con la/le donna/e. Perche si è dimesso allora?
2) il nostro amico avrà partecipato al Family Day?
3) le campagne moralizzatrici dell'Udc non suonano sempre un pò "ironiche"?
cocainomani contro la droga, satiri contro il sesso, imputati per concorso esterno contro la mafia, divorziati che vanno al family day. UDC:Un pò Di Contraddizioni.
Mio modesto parere: tutto ciò che non è espressamente proibito è lecito per cui il deputato può andare a letto con chi vuole con quante donne vuole e se fà uso esclusivamente personale e anche libero di sniffare coca (pratica orrenda ma l'uso personale non è reato). il giudizio morale lo daranno gli elettori...sfortunatamente ha scelto di militare nel partito sbagliato un partito in cui i principi liberali non sono molto ben accetti.
P.S.
Rammento a tutti che Casini è un divorziato ma và al Family day (l'errore è nella seconda parte della frase non nella prima ovviamente).