venerdì 14 marzo 2008

Non credo proprio....


Ipse Dixit



Sulle cliniche abortiste andrebbe scritto 'Abort Macht Fre', così come ad Auschwitz c'era scritto 'Arbeit Macht Frei'.
Giuliano Ferrara

Cercasi Incensurati


Marcello Dell'Utri, condannato in via definitiva, sarà, salvo sorprese, senatore della Repubblica. Il Pdl lo candida al numero 7 per il Senato in Lombardia.
(La Repubblica)

La guerra in Abissinia

Siamo abituati ad una correlazione diretta ed immediata tra il prezzo del carburante al distributore e il prezzo del petrolio greggio. Cioè ci pare ovvio che un aumento della quotazione del greggio debba riflettersi in tempi più o meno rapidi in un aumento del prezzo dei carburanti. In realtà, il prezzo del petrolio incide solo in minima parte sul prezzo finale della benzina, possiamo stimare l'incidenza in non più del 17%. Quindi tenendo conto solo dei costi di produzione la benzina dovrebbe costare intorno ai 23 centesimi di euro. A questo dobbiamo aggiungere i costi di raffinazione e distribuzione che incidono per un altro 17% circa. Quindi il cosiddetto costo industriale del carburante dovrebbe attestarsi intorno ai 46 centesimi di euro. A questo punto dobbiamo aggiungere tutta una serie di oneri esogeni rispetto al processo produttivo/industriale:
1) le accise sulla sulla produzione e raffinazione
2) l'Iva che in Italia è applicata con l'aliquota massima del 20% equiparando i carburanti ai beni voluttuari
3) Il contributo per la guerra dell'Abissinia del 1935
4) Il contributo per la crisi del Canale di Suez del 1956
5) Il contributo per il disastro del Vajont del 1963
6) Il contributo per l'alluvione di Firenze del 1966
7) Il contributo per il terremoto del Belice del 1968
8) Il contributo per i terremoti del Friuli e dell'Irpinia
9) Il contributo per la missione militare in Libano
10) Il contributo per la missione militare in Bosnia del 1986
11) e per ultimo il contributo al finanziamento del rinnovo del contratto dei ferrotranvieri del 2004.
Ora, un aumento poniamo del 10 per cento del prezzo del petrolio, dovrebbe determinare un aumento, se non teniamo conto per semplicità dell'effetto delle scorte di giacenza nei terminal di raffinazione, massimo del 10 per cento ma calcolato solo sul costo industriale del carburante, calcolato quindi solo su quei 46 centesimi di euro. In realtà è esperienza comune che gli aumenti sono molto più elevati rispetto a quelli che abbiamo qui grossomodo e per esemplificazione calcolato! Il ragionamento economico non è semplice e tiene conto anche del fatto che molte delle componenti di prezzo elencate sopra,sono calcolate non in percentuale rispetto al costo industriale ma, come ad esempio le accise, sono liquidate sulla quantità di prodotto raffinato, quindi dovrebbero rimanere una componente pressoché stabile rispetto alle variazione del prezzo del greggio. In conclusione, il prezzo del carburante in Italia segue una tendenza ben nota agli economisti che è quella analizzata da Veblen per i beni primari: il prezzo è estremamente elastico verso l'alto, mentre è estremamente rigido verso il basso. Possiamo ragionevolmente ipotizzare, infatti, che se il greggio tornasse a un prezzo di 60 dollari al barile, il prezzo della benzina in Italia scenderebbe di pochi centesimi di euro. Non ci sono molte possibilità di azione su questo meccanismo di determinazione del prezzo in una economia di mercato, escludendo la possibilità di un intervento diretto dello Stato se non nelle componenti fiscali, pur auspicabile e considerando che l'autority per la concorrenza e il mercato non ha mai di fatto esercitato alcun controllo reale sulle ipotesi di collusione monopolistica dei petrolieri italiani, non rimane che sperare che il prossimo governo della Repubblica abbia il coraggio di introdurre quelle leggi di liberalizzazione della rete distributiva che nel resto dell'Europa ormai da diversi decenni hanno consentito di limitare i fenomeni inflattivi provocati dagli aumenti "concordati" del prezzo dei carburanti.

Lieto fine

"Vittoria!" esulta Marco Cappato, eurodeputato radicale nell'annunciare la notizia. Dopo l'approvazione, oggi pomeriggio, da parte del parlamento Europeo con 46 voti favorevoli, 2 contrari e 12 astenuti, della risoluzione d'urgenza promossa dai deputati europei radicali Marco Cappato e Marco Pannella che rivolgeva "un appello agli Stati membri interessati affinché trovino una soluzione comune in modo da assicurare che sia concesso asilo o protezione sul territorio dell'UE a Mehdi Kazami e che egli non sia espulso in Iran, dove sarebbe giustiziato", la notizia che tutti stavamo aspettando con ansia da settimane: il governo inglese ha deciso di sospendere la deportazione di Mehdi Kazemi in Iran. Il ministro dell'Interno britannico Jacqui Smith ha deciso oggi di sospendere la deportazione dopo aver ricevuto una lettera firmata da oltre 60 membri della camera dei Lord che chiedeva di intervenire in favore del 19enne: "Noi membri della camera dei Lord siamo profondamente preoccupati dalla possibilita' che Mehdi Kazemi venga condannato a morte se gli verra' rifiutato l'asilo in Gran Bretagna e verra' deportato in Iran. Chiediamo al governo di Sua Maesta' di mostrare compassione e di dare rifugio nel Regno Unito a Kazemi'', si legge nella lettera. Il giovane, il cui compagno e' stato impiccato in Iran dopo essere stato condannato per ''sodomia'', si trova in Olanda dove gli e' stato rifiutato l'asilo ed ora potra' quindi tornare in Gran Bretagna senza alcun rischio.
Secondo Sergio Rovasio, segretario Associazione Radicale Certi Diritti: "Quanto avvenuto oggi è il risultato della mobilitazione internazionale che ha visto in prima linea le Associazioni Nessuno Tocchi Caino, il Gruppo EveryOne, il Partito Radicale Nonviolento e l'Associaizone radicale Certi Diritti insieme a molte associazioni lgbt europee, media e network internazionali, in particolare la stampa di Spagna, Italia, Olanda e Gran Bretagna, che lottano per la libertà e la democrazia. Non possiamo che esprimere al Governo britannico i nostri più sentiti ringraziamenti per la scelta di salvare la vita a Medhi. Occorre ora garantire, e su questo vigileremo, che in tutti i paesi dell'Unione Europea venga applicata la Direttiva 2004/83/CE che impone il riconoscimento dello status di rifugiato anche alle persone perseguitate nel loro paese di origine a causa del loro orientamento sessuale".

Se i farmacisti obiettano

FLAVIA AMABILE
Era ottobre dello scorso anno quando il papa lanciava un'idea. I farmacisti dello Stato confinante, dalla Valle d'Aosta alla Sicilia, avrebbero fatto bene a introdurre l'obiezione di coscienza nel loro lavoro. Da un punto di vista pratico vuol dire che se qualcuno - tanto per fare un esempio - fosse andato a chiedere una pillola del giorno dopo, avrebbero dovuto rifiutarsi di venderla.

Della pillola del giorno dopo dovreste sapere un bel po' di cose se siete affezionati lettori di questo blog. L'obiezione è già abbastanza diffusa fra i ginecologi, anche gli infermieri vogliono poterla sbandierare, la inseriranno nel loro contratto. Se anche i farmacisti dovessero ottenerla come chiede il loro Ordine il problema della 194 sarebbe mezzo risolto: resterebbe davvero poco da applicare.

I farmacisti sono rappresentati da diverse sigle. Federfarma è la più laica. Invece l'Ordine nazionale dei farmacisti, la Federazione degli Ordini dei Farmacisti e l'Unione cattolica dei farmacisti sono più vicine al Vaticano e stanno facendo il possibile per introdurre l'obiezione anche nelle farmacie. L'unico modo possibile è modificare la legge, l'articolo 38 del regolamento sanitario che prevede che i farmacisti dinanzi a una prescrizione medica, debbano consegnare il farmaco o a procurarlo, se non disponibile, nel più breve tempo possibile.

Se ne occuperà il prossimo governo, insomma, e per alcuni elettori anche questo forse farà parte delle scelte di voto. Ma nel frattempo l'obiezione di coscienza è illegale e a Bologna il 7 marzo una cinquantina di donne hanno organizzato una protesta contro la farmacia S. Antonio che si rifiuta di vendere la pillola del giorno dopo. Hanno rovesciato del polistirolo a forma di pillole all’ingresso della farmacia, distribuito alcuni volantini e applicate alle vetrate della farmacia degli adesivi. Il farmacista è uscito fuori urlando, insultando e cercando di strappare il megafono ad una ragazza. Risultato della protesta: le ragazze sono state denunciate e scomunicate dal quotidiano cattolico locale ma in teoria anche il farmacista rischia una multa. Il presidente dei farmacisti bolognesi, Franco Cantagalli, era stato chiaro in una circolare del 17 novembre, aveva avvertito i suoi associati che chi non rispettava la legge era punibile con una multa, dai 3000 ai 18.000 euro, e poteva essere incriminato per: 'Omissione o rifiuto di atti d’ufficio e interruzione di servizio pubblico'. Un reato penale.

Eppure, reato o no, l'obiezione di coscienza è una realtà che va crescendo. I dubbi etici esistono, sono legittimi, ma è anche più legittimo ottenere i servizi previsti dalla legge in vigore. E allora? Carlo Flamigni del Comitato di Bioetica: 'Il problema è che oggi c'è un enorme numero di medici obiettori e in gran parte dei casi la scelta non è dettata dalla convinzione personale ma dalla convenienza o dal pragmatismo. Questo grande numero ha fatto sì che le gravidanze vengano interrotte con un ritardo sempre maggiore e mettendo sempre più in pericolo la salute della donna. Non si può andare avanti così: vanno presi subito dei provvedimenti'

Carlo Flamigni non chiede sanzioni, solo trasferimenti di opportunità etica. 'Si può costringerli ad andare a fare un altro mestiere. Io non metterei mai un medico Testimone di Geova a fare trasfusioni, e lui non lo chiederebbe mai. Quindi non vedo perché non si possa pretendere da chi lavora nei reparti di ginecologia di occuparsi della salute della donna a 360 gradi e non solo fino ad un determinato punto. Se poi il medico dovesse cambiare idea solosuccessivamente, sarà lui stesso a dover chiedere di lasciare l'ospedale per occuparsi di altro, o di essere trasferito in altri reparti.

'Non si può avere il monopolio della vendita dei farmaci e decidere anche di non venderne alcuni', ricorda invece Donatella Poretti della Rosa nel Pugno ai farmacisti cattolici. E quindi sì all'obiezione ma solo se 'consentiranno la completa apertura del mercato e i farmaci si potranno trovare al supermercato, come in Autogrill'.

(La Stampa)

Il richiamo della foresta

CURZIO MALTESE

Sarà la convinzione d'avere il sole della vittoria in tasca. Saranno l'età e i chilometri: alla quinta campagna elettorale il repertorio fatalmente si avvizzisce. Sarà che Berlusconi è sempre stato così, ma insomma il livello di gaffes ciniche e volgari assemblato dal Cavaliere in due settimane di campagna elettorale sembra eccessivo perfino agli amanti del genere.

Persi i grandi alibi del sogno e dell'anticomunismo, a Berlusconi sono rimaste soltanto le barzellette. L'intera sua campagna assomiglia a una barzelletta, del genere greve. L'altra sera al Tg2, a una ragazza precaria che gli poneva un problema serio ("Come si può metter su una famiglia con 600 euro al mese?") il candidato premier del centrodestra ha consigliato di sposare Berlusconi junior o "un tipo del genere", un figlio di miliardario. Di fronte al gelo dello studio, il grande comunicatore ha poi improvvisato una risposta seria delle sue, cioè lievemente meno cialtrona.


Non si era ancora spenta l'eco della candidatura di Ciarrapico, giustificata da Berlusconi più o meno così: d'accordo, è un fascista ma possiede giornali "che servono". Il verbo è da intendersi in senso largo. Il passaggio logico in cui il primo editore d'Italia dava per scontato che i giornalisti siano servi dei loro padroni è sfuggito alla già rinomata categoria. Ma in molti pagheremmo una cifra, come si dice a Milano, per vedere Berlusconi ripetere il concetto ai leader del partito popolare europeo, che ieri hanno chiarito di non essere disposti ad accogliere nostalgici di Mussolini.


Poco prima il Cavaliere, per tener fede ai propositi di fair play elettorale, s'era messo a stracciare in pubblico il programma del Pd. La campagna era cominciata peraltro con una solenne presa per i fondelli dei suoi elettori, intorno alla vicenda della candidatura di Clemente Mastella. Berlusconi aveva ammesso di aver offerto la candidatura a Mastella, ai tempi in cui questi era ancora nel centrosinistra, ma d'aver poi deciso di non onorare la promessa, "perché secondo i sondaggi, ci farebbe perdere dall'otto al dieci per cento". Anche qui è passato inosservato il passaggio logico per cui un quarto degli elettori del Pdl sarebbero tanto imbecilli da non distinguere fra un gesto politico convinto, magari dettato da scrupoli etici, e una trovata opportunistica.

Nella democrazia americana, che Berlusconi cita da una vita a modello, una qualsiasi di queste gaffes, per usare un eufemismo, avrebbe comportato l'immediata fine della carriera politica. In Italia, per fortuna sua ma non nostra, offendere le donne, i media, gli avversari e perfino l'intelligenza dei propri elettori, non è considerato grave. Neppure o soprattutto dagli interessati. E' possibile, anzi probabile, che Berlusconi non abbia perso un solo voto dei suoi, né di donne, né di giornalisti, né fra i molti antipatizzanti dell'ex Guardasigilli. Ci sono ben altri problemi, come ripete il Cavaliere. Per esempio la questione della spazzatura a Napoli, per la quale lui stesso non ha fatto nulla nei sette anni di governo.

Il tratto più sorprendente è come Berlusconi, ormai il più anziano leader in attività d'Italia e fra i più anziani del mondo, in tanti anni non abbia raggiunto un grado minimo di dimestichezza con il linguaggio democratico. Il linguaggio che accomuna in Europa e in Nord America tutti i capi di partito, conservatori o progressisti, con sporadiche eccezioni populiste, fenomeni in genere di breve durata o di limitato consenso.

Il richiamo della foresta in lui è sempre più forte di tutto, perfino in una campagna elettorale nata all'insegna della moderazione e, in teoria almeno, vinta in partenza dal centrodestra. Al cinismo berlusconiano il Paese è mitridatizzato da anni. Non manca chi lo considera, fra seguaci e avversari, con divertimento. Si accettano già scommesse sulle barzellette e le battute che il capo potrà sfornare quando incontrerà da premier il primo presidente donna o il primo presidente nero degli Stati Uniti. Tanto, ci saranno sempre "ben altri problemi". Ma se non si riesce a cambiare nemmeno la forma, figurarsi la sostanza.


(La Repubblica - 14 marzo 2008)

giovedì 13 marzo 2008

Buone notizie


L'AVANA - Cuba autorizza la vendita di computer e dvd. Si tratta della prima iniziativa di Raul Castro volta ad alleggerire le restrizioni imposte alla popolazione. Un documento governativo, al quale la Reuters ha avuto accesso, fa riferimento alla "migliore disponibilità di elettricità, per cui il governo ha autorizzato la vendita di apparecchiature finora proibite". Nella lista appaiono, oltre a computer e dvd, televisori, biciclette elettriche, forni a microonde. I cubani potranno liberamente comprare questo materiale.
(La Repubblica)

Ipse Dixit

"Chi non ha un posto fisso sposi un milionario"
(Silvio Berlusconi)

Siamo tutti lussemburghesi


La guardia di finanza di Milano indaga su un caso di evasione fiscale. un caso eclatante perché l'evasore, o meglio, gli evasori non si sono neppure preoccupati di presentare le dichiarazioni Iva e Irap come tutti gli onesti contribuenti italiani. L'evasore in questione è la Gado, società finanziaria con sede sociale in Lussemburgo. Il nome di per sé dice poco, ma è interessante per un appassionato di enigmistica come me, perché è l'acronimo bisillabo di Gabbana&Dolce o Dolce&Gabbana se preferite. I noti stilisti italiani avrebbero omesso di versare nelle casse dello stato italiano la bellezza di 140 milioni di euro, oddio li capisco, le spese di manutenzione della loro villa a Portofino richiedevano un po' di liquidità. Pare che la guardia di finanza non sia riuscita a trovare le prove di un loro coinvolgimento diretto nella vicenda, quindi difficilmente i due stilisti saranno denunciati alla Procura della Repubblica per il reato penale di omessa dichiarazione.

Camicia nera, fedina pure

mercoledì 12 marzo 2008

E' ufficiale: la Chiesa sposta voti.


A proposito di diritti umani


Un altro ragazzo iraniano gay rischia di dover affrontare una condanna a morte. Mehdi Kazemi, 19 anni, si era recato in Gran Bretagna nel 2004 per motivi di studio ma qui aveva appreso che le autorità iraniani avevano arrestato il suo fidanzato, costringendolo a confessare la loro relazione.
La scorsa primavera, alla scadenza del visto e al rifiuto del tribunale inglese di concedergli lo status di rifugiato, Mehdi era espatriato in Olanda, dove ieri la polizia lo ha arrestato per riconsegnarlo alle autorità inglesi la prossima settimana.
Attualmente è sorvegliato a vista dalla polizia di Rotterdam perchè si teme un possibile e annunciato tentativo di suicidio. Su di lui in Iran pende una condanna a morte in quanto gay.
La corte suprema olandese ha respinto ieri l'appello di Mehdi Kazemi, il giovane gay iraniano fuggito dalla Gran Bretagna per evitare di essere riportato nel suo paese, dove è stato condannato per omosessualità.
La corte suprema ha stabilito che ad essere responsabili per il destino di Kazemi sono le autorità britanniche, perchè è nel Regno Unito che il ragazzo ha fatto richiesta di asilo.
L'avvocato di Kazemi sta considerando di presentare un appello alla Corte europea dei diritti umani: le speranze dell'avvocato sono comunque che la Gran Bretagna decida di rinunciare a rimpatriare il ragazzo o che eventualmente l'Olanda si decida a dargli asilo. Si attendono disposizioni del ministro per l'immigrazione britannico. Inoltre, il Gruppo EveryOne sta richiedendo attraverso canali internazionali un incontro immediato con il premier britannico Gordon Brown.
Il caso di Kazemi mette in luce quali siano le differenze nella tutela dei gay provenienti da dittature islamiche come l'Iran.
(Ilsole24ore)

La Cina promossa dagli Stati Uniti sui diritti umani blocca la protesta di 600 monaci tibetani


In Tibet, dove in questi giorni si ricorda l'anniversario della ribellione contro la Cina del 10 marzo 1959, la polizia cinese ha disperso con il gas circa 600 monaci che si erano riuniti nei pressi della capitale Lhasa, per organizzare una marcia di protesta contro l'occupazione di Pechino.
L'episodio non è che l'ultimo di una serie iniziata lunedì, giorno dell'anniversario, e che sta attivando le organizzazioni per la difesa dei diritti umani già impegnate nella protesta contro i prossimi giochi olimpici di Pechino.
Anche in India alcune centinaia di esuli tibetani hanno organizzato un'altra marcia di protesta proprio contro le Olimpiadi cinesi, nonostante il divieto del governo indiano che vuole evitare tensioni con Pechino. E anche se i manifestanti confidano nel fatto che la loro manifestazione pacifica non susciterà la repressione della polizia, secondo Radio Free Asia (fondata dal governo statunitense) finora sono almeno 71, soprattutto monaci, le persone arrestate. Il governo cinese minimizza la portata delle proteste, ma tramite il suo ministro degli esteri Yang Jiechi, ha anche vietato ogni manifestazione non autorizzata dal governo. E il divieto vale soprattutto per i Giochi Olimpici.

Intanto gli Stati Uniti, nel loro rapporto annuale sui diritti umani, promuovono la Cina, togliendola dalla lista dei "peggiori violatori", nella quale è stata fino all'anno scorso insieme a Birmania, Siria e Corea del Nord. Ma il rapporto statunitense aggiunge anche che "in generale la situazione dei diritti umani è rimasta negativa", citando proprio la mancanza di libertà in Tibet e nel Xinjiang, la regione settentrionale del paese con forte presenza musulmana. Pechino respinge le critiche, sempre per mezzo del ministro Jiechi, per il quale le accuse stesse "rivelano una mentalità da guerra fredda, fanno distinzioni basate sull'ideologia" e "rappresentano un'interferenza negli affari interni della Cina con la scusa dei diritti umani".

(www.ilsole24ore.com)

martedì 11 marzo 2008

Ipse dixit


"Ciarrapico ci serve.Dobbiamo vincere"
(Silvio Berlusconi)

Il laico Zapatero


GIAN ENRICO RUSCONI
Una serena, ferma e dignitosa difesa dello Stato laico vince elettoralmente in una democrazia matura. Questa è la semplice lezione del successo di José Luis Zapatero.

Sappiamo che le varianti in gioco nelle elezioni spagnole erano e sono molte. Sappiamo che le differenze tra l’Italia e la Spagna sono grandi. Ce ne siamo dimenticati, anche per una certa provinciale supponenza che per decenni ci ha illuso di «essere più avanti» degli spagnoli. Adesso ci stanno dando molte lezioni: dal dinamismo economico all’impegno nelle istituzioni europee. Da qualche tempo ci offrono pure l’esempio di uno Stato che ha riscoperto il gusto della propria autonomia e dignità nel dimostrare con i fatti di essere l’unico depositario dei criteri dell’etica pubblica.

Il plusvalore della laicità ha certamente rafforzato la prospettiva «socialista» della politica zapateriana, che punta sulla valorizzazione della «cittadinanza sociale». Solo l’eutanasia del socialismo nel nostro Paese impedisce di cogliere il nesso fecondo tra socialismo della cittadinanza e diritti civili.

Nel merito si può essere d’accordo o no su questa o su quella iniziativa di legge (dalle nuove regole sul divorzio ai matrimoni gay), ma non c’è dubbio che il governo socialista sta sviluppando una strategia efficace. Consente all’opposizione cattolica ed ecclesiastica di dispiegare tutto il suo potenziale di protesta pubblica, senza farsi intimidire. Soprattutto non si lascia dettare lezioni su che cosa sia la «vera laicità dello Stato». Il risultato è che nulla fa infuriare di più i clericali spagnoli del sorriso disarmante di Zapatero quando annuncia e ribadisce le sue misure di laicità.

Con buona pace dei nostri clericali, non si può dire che «la sfera pubblica» spagnola sia condizionata dal laicismo di Stato. Nulla impedisce ai cattolici spagnoli, che seguono le direttive della gerarchia, di manifestare senza restrizioni i loro convincimenti con il massimo di pubblicità. Ma le loro ragioni non convincono la maggioranza degli spagnoli. È quindi sbagliato affermare che le iniziative di Zapatero fanno violenza alla buona popolazione spagnola. Semplicemente la gente, credente o non credente, è laicamente più matura dei suoi rappresentanti clericali.

Non so se il risultato elettorale spagnolo cambierà qualcosa nel nostro Paese nelle strategie politiche (tali sono anche quelle della Cei) in previsione di misure di legge che rientrano sotto i criteri della laicità dello Stato. Oggi in Italia è in atto una tregua elettorale, dettata dalla convenienza politica e da un calcolo di aritmetica elettorale. È il segnale di un intreccio intimo e strumentale tra i meccanismi democratici e la volontà di una parte del mondo cattolico di condizionare dall’interno (a cominciare dal Pd) i processi della decisione politica.

Non siamo dunque in una situazione spagnola, neppure per quanto riguarda «la sfera pubblica», che da noi è saldamente presidiata dalle forze cattoliche in linea con la dottrina o meglio con la strategia della Chiesa. Ma la linea intransigente dettata dalla parola d’ordine della «non negoziabilità dei valori», confondendo la dottrina della Chiesa con una strategia politica, mette in difficoltà la democrazia o quanto meno la sua funzionalità.

Non ci stancheremo di ripetere che in democrazia «non negoziabili» sono soltanto i diritti fondamentali, tra i quali al primo posto c’è la pluralità dei convincimenti, pubblicamente argomentati. Ad essa deve essere subordinato l’impulso a far valere i propri valori (per quanto soggettivamente legittimi) nei confronti degli altri cittadini. Dopo di che, evidentemente, si apre lo spazio al confronto - anche duro - delle ragioni che sono condivise o che dividono, e quindi alle regole del gioco democratico.

Non so se un futuro ipotetico governo Veltroni proporrà leggi non gradite alla gerarchia ecclesiastica, sostenendo il principio dell’autonomia dello Stato laico e il primato costituzionale del pluralismo etico. Dovrà prima fare i conti con alcune componenti interne del suo stesso partito, che non mancheranno di ricattarlo. Da questo punto di vista, anche se lo volesse, Veltroni non potrebbe agire con la fermezza di Zapatero. Si è già messo nelle condizioni politiche di non poterlo imitare, ammesso che lo voglia fare. Non aspettiamoci dunque un Veltroni-Zapatero. Non potrà e non saprà farlo. Lo apprezzerà magari a parole, ma da lontano. Nel suo stile.
(La Stampa)

Ipse dixit

"...E poi, diciamocelo, Berlusconi non è mai stato antifascista. Lo conosco da decenni, non mi ricordo nemmeno che abbia mai festeggiato un 25 aprile..."
(Giuseppe Ciarrapico - Corriere della sera 11/03/2008)

Le Balle Blu


"… abbiamo incontrato una stagione economica molto difficile soprattutto dopo l'11 settembre. La crisi ha investito non solo l'America ma anche l'Europa"
(Berlusconi, Porta a Porta, 13 Febbraio 2008)

“quando noi abbiamo iniziato a governare nel 2001, avevamo previsto tassi di crescita del 3% all’anno per 5 anni, siamo arrivati ad un terzo. La sinistra ci ha accusati che era colpa nostra, non era così ed era sbagliato accusare che fosse colpa nostra perché c’era una recessione mondiale, dopo l’11 settembre, i governi hanno poco capacità di modificare le grandi macrovariabili…”
(Brunetta, Otto e mezzo, 22 Febbraio 2008 )

I dati che seguono mostrano il tasso di crescita composto del periodo 2002-2005 (prendiamo per correttezza, quelli in cui Berlusconi ha governato per intero) per: Pil reale, produzione industriale e produttività del lavoro per Italia, Germania, Francia, spagna e Regno Unito e Ue15.

PaesePil realeProduzione industrialeProduttività del lavoro
Italia+1,6-3,2-0,4
Germania+2,7+6,5+5,5
Francia+6,4+1,8+5,1
Spagna+13,3+3,6+1,7
Regno Unito+1-2,6+6,3
Ue 15+6,3+4,4+4,5

NB: il Regno Unito NON fa parte della UE 15

Fonte:la Voce.info

Per la precisione...



“…nel 2001 quando fu sottoscritto il contratto [..con gli italiani di Berlusconi] i reati erano 2.163.830 nel 2006 alla fine di questo contratto 2.805.000” (Veltroni, Porta a Porta, 3 Marzo 2008)

I reati sono diminuiti fino al 2001 e sono cresciuti proprio sotto il governo Berlusconi dal 2001 al 2006 sebbene il numero citato per il 2006 non è corretto.
Numero di Crimini
19962.422.991
19972.440.754
19982.425.748
19992.373.966
20002.205.778
20012.163.830
20022.231.550
20032.456.887
20042.417.716
20062.579.124
20072.752.275
Fonte: Ministero degli Interni

P.S:in grassetto gli anni del governo Berlusconi

Ma anche in Italia...

"...il compenso minimo legale c'è in quasi tutti i paesi Europei"

(Veltroni, Porta a Porta, 3 Marzo 2008)


Salario minimo garantitoAnno 2007
Belgium1259
Bulgaria92
Czech Republic288
Estonia230.1
Ireland1403
Greece658
Spain665.7
France1254
Latvia172
Lithuania173.8
Luxembourg1570.3
Hungary257.9
Malta584.7
Netherlands1301
Poland245.5
Portugal470.2
Romania114.3
Slovenia521.8
Slovakia217.4
United Kingdom1361.4
Turkey297.6
Fonte: Eurostat
Valori espressi in Euro


(la Voce.info )

lunedì 10 marzo 2008

Ipse Dixit


"Io con Silvio ma resto sempre fascista"
(Giuseppe Ciarrapico- Candidato PDL 2008)

Se il Primo Ministro governa


di Sergio Romano

Il primo segnale che giunge da Madrid, al di là della vittoria socialista, è la grande somiglianza delle elezioni europee. I protagonisti e i temi principali sono quasi ovunque gli stessi. Esistono due grandi partiti a «vocazione maggioritaria» che aspirano alla guida del Paese e, in molti casi, piccoli partiti che finiscono troppo spesso per avere un’importanza superiore alle loro dimensioni. Il confronto avviene sulle questioni che agitano tutte le società nazionali del continente: crescita dell’economia, riduzione delle imposte, infrastrutture, potere delle regioni, sicurezza, criminalità, immigrazione, la famiglia moderna e i nuovi diritti umani che ne stanno modificando i caratteri, la credibilità della classe politica e la sua capacità di affrontare problemi che dipendono in buona misura da fattori esterni, europei o mondiali.

Ma le differenze, soprattutto per un osservatore italiano, non sono meno importanti delle somiglianze. L’economia spagnola rallenta, come in Italia, e dipende troppo da un fattore, l’edilizia, che non gode generalmente di buona salute. Ma la crescita, alla fine dell’anno, sarà pur sempre pari al 2 per cento del prodotto interno lordo contro lo 0,5 per cento in Italia. La Spagna ha bisogno di grandi infrastrutture, ma l’aeroporto madrileno di Barajas, la Tav che attraversa l’intero Paese da Siviglia a Barcellona e il colossale progetto per l’utilizzazione del «potere solare concentrato» sono dimostrazioni di coraggio e dinamismo: due virtù assenti nel panorama politico italiano. L’integrazione delle comunità immigrate suscita preoccupazioni ed è stata materia di scontri elettorali, ma gli stranieri in Spagna sono ormai il 10 per cento (più del doppio della percentuale italiana) e le difficoltà sono in buona parte compensate dal contributo che i nuovi arrivati hanno dato allo sviluppo dell’economia nazionale. Le leggi sulla famiglia e sull’educazione religiosa hanno provocato forti tensioni nella società spagnola e dure reazioni dell’episcopato, ma hanno dimostrato che il rapporto fra lo Stato e la Chiesa, nella cattolicissima Spagna, è più dignitosamente paritario di quanto non sia in Italia.

I socialisti hanno vinto e il prossimo governo potrebbe forse evitare l’alleanza con scomodi partiti regionali. Zapatero è stato afflitto, alla fine del suo mandato, da alcuni dati negativi (disoccupazione, inflazione, debito delle partite correnti) e da alcune imprudenze.

Queste imprudenze sono l’accordo abortito con l’Eta, il nuovo statuto catalano (troppo generoso per il cuore castigliano del Paese, insufficiente per gli autonomisti più radicali e contestabile per i costituzionalisti), le inutili leggi sul passato franchista, lo stile frettoloso e spavaldo con cui ha affrontato il problema dell’immigrazione e dei nuovi diritti di libertà. Ma la vittoria dimostra che il risultato complessivo è parso alla maggioranza degli spagnoli non inferiore a quello realizzato dai governi di Felipe Gonzales e José Maria Aznár. Accanto alle molte differenze vi è fra i tre leader un aspetto comune: hanno lavorato alla modernizzazione della Spagna e sono riusciti a farla salire di parecchi scalini nella graduatoria delle nazioni. Certo, tutti i governi spagnoli degli ultimi due decenni sono stati aiutati dalla volontà collettiva di una società che voleva uscire da un secolare letargo e lasciarsi alle spalle per quanto possibile il passato della guerra civile. Ma il fattore che ha maggiormente contribuito al dinamismo spagnolo è una costituzione moderna, un buon sistema politico, un premier che viene eletto per governare, non per negoziare con amici-nemici da cui è continuamente ricattato. Non sono certo che la Spagna abbia superato l’Italia sul piano economico. Ma sul piano civile l’ha brillantemente scavalcata.

(Il Corriere della Sera)

domenica 9 marzo 2008

Tra Pd e Pdl 100 miliardi di promesse

Alberto Orioli
Il confronto
Un dato accomuna i programmi di Pd e Pdl: sono coperti – miliardo più, miliardo meno – a metà. Anche se il centro-destra spenderebbe più del doppio dei «democratici». In tempi di campagna elettorale si vendono sogni da pagare in consensi. I due leader principali, Silvio Berlusconi e Walter Veltroni, hanno scelto di non vendere miracoli, di stare al concreto. E per fortuna, perché chissà dove sarebbe arrivato il pallottoliere dei programmi visto che già adesso oscilla tra 72 e 87 miliardi per il Pdl e tra 19 e 28 per il Pd. Oltre un centinaio di miliardi da stipare nella cornucopia della campagna elettorale.
Più accentuata l'indicazione dei tagli di spesa corrente nel programma di Veltroni (confezionato da Enrico Morando) che dovrà essere di almeno mezzo punto di Pil il primo anno e un punto nel secondo e nel terzo (vale a dire 8 miliardi che diventano 16); più evidente la vasta operazione di valorizzazione dell'attivo patrimoniale dello Stato in quello di Berlusconi. Sarà proprio il piano casa di Renato Brunetta uno dei pilastri per l'azione di copertura dei costi del programma Pdl: la trasformazione in proprietari di 2 milioni di inquilini di case Iacp o comunali in cambio di un affitto che diventa rata di mutuo e consente alle amministrazioni di cartolarizzare l'intero importo di 20-30 anni. In gioco ci sono dai 18 ai 20 miliardi di incasso da cartolarizzazione. L'operazione era già stata inserita nella Finanziaria 2006, ma è rimasta lettera morta. Ora il più vasto piano Tremonti ingloba l'operazione Iacp nella maxi operazione di cessione di asset mobiliari, crediti, partecipazioni che potrebbe coinvolgere l'ingentissima somma di 700 miliardi. Lo stesso Veltroni recupera parte di questo approccio quando parla di valorizzare l'attivo patrimoniale non demaniale. I volumi stimati sono molto meno ingenti: prima occorre una definizione europea – dice Morando – quindi un aggiornamento dei valori per arrivare ad alcune operazioni di cessione sul mercato che potrebbero anche far scendere il debito al di sotto del 90% del Pil con un conseguente vantaggio sugli oneri per interessi per un controvalore di circa 10 miliardi. Ma è la partita fiscale quella che più caratterizza i due programmi. Il Cavaliere punta a colossali potature. L'obiettivo è far scendere dal 43,3 a sotto il 40% la pressione fiscale: ai dati attuali significa tagliare 52-53 miliardi.
Il Cavaliere vuole eliminare l'Irap (pari a 33 miliardi, se totale, e a 20 se calcolata solo su costo lavoro e perdite), poi le tasse su straordinari, tredicesime e quattordicesime che costerebbero una decina di miliardi. Quanto all'eliminazione Ici è noto che costerà 2 miliardi e sarà destinata per lo più a immobili di pregio (perché il resto è già esente). L'operazione dell'Iva per cassa potrebbe configurare, nel primo anno di applicazione, un mancato gettito di 20 miliardi una tantum per effetto delle posticipazioni dei pagamenti. Il fronte delle coperture è in parte affidato alla lotta all'evasione fiscale secondo le modalità del piano Tremonti del 2006, vale a dire affidando ai Comuni il 30% di compartecipazione sulle somme recuperate (i tecnici di Berlusconi accreditano una stima di 10 miliardi di incassi a regime per lo Stato, un po' meno di un terzo al primo anno). Veltroni toglie un punto di Irpef all'anno per tre anni con un taglio che peserà per 6,7-6,8 miliardi ogni 12 mesi sulle casse pubbliche. L'aumento della detrazione per il lavoro dipendente costerà 3,5 miliardi. Nel programma del Pd la copertura è affidata al recupero di evasione fiscale (che ipotizza un rapporto tra crescita della ricchezza nazionale e aumento delle entrare all'1,3, contro l'1,6 del 2007): niente condoni, controlli severi e frequenti. Insomma, la cura Visco. Che verrebbe anche riproposta nell'ampliamento del cosiddetto forfettone, ora esteso alle aziende fino a 50mila euro di fatturato, pari a circa 2 milioni di imprese. Un'operazione che produce, nell'immediato un piccolo calo di gettito (100-150 milioni) in cambio, però, di una maggiore fedeltà fiscale. I programmi divergono molto in tema di lavoro. Veltroni vuole il salario minimo a 1.000-1.100 euro netti mensili per i precari (platea che oscilla da 3,5 milioni a 800mila unità a seconda del tipo di contratti che si prendono in esame): l'extracosto rispetto a una media retributiva di circa 800 euro mensili lordi è caricato sulle imprese alle quali spetterebbe una compensazione – minima – con gli incentivi alle assunzioni. Il resto è fatto da crediti d'imposta per le assunzioni delle donne e dall'aumento della dote per i figli (2.500 euro l'uno fino a 3 anni pari a 1,2 miliardi).
Berlusconi punta su una strategia più liberale che vede l'estensione della legge Biagi, l'apertura di spazi di mercato per le nuove imprese soprattutto se fatte da giovani, l'applicazione di un credito d'imposta per chi assume persone al primo impiego. Il resto lo farebbe il completamento della Borsa lavoro per facilitare l'incontro tra domanda e offerta di personale. Infine gli incentivi. Ce ne sono per tutti i gusti – e spesso bipartisan – ma non quantificabili: per definizione dipendono dagli effettivi spazi di bilancio che si creano di anno in anno. Se, per puro esercizio, si ipotizzasse di stanziare 250 milioni di euro per ognuna delle voci oggetto di incentivazione diretta si avrebbe che Veltroni spenderebbe più o meno come Berlusconi. E, spesso, per le stesse cose.
(Il sole24ore)