sabato 22 novembre 2008

E' tutta colpa del nonno...



Ma quanto è vecchia dentro la Carfagna????
Ma gli occhi sbarrati? Perchè???

venerdì 21 novembre 2008

Non siamo noi i razzisti...


... ma voi che siete froci!





... e/o disabili!

Mai avuto dubbi

"Un vero DC non lascia mai"
(Riccardo Villari)

giovedì 20 novembre 2008

Ignored


Nemmeno Silvio gli stringe la mano.

Lavori pesanti


Come si schioda un democristiano da una poltrona?
Prendete un piede di porco...


ps
Ma non aveva detto lui che se c'era l'accordo su un altro nome si dimetteva?

Masochismo

"Il senatore Villari e' stato democraticamente eletto presidente della commissione di Vigilanza con una maggioranza trasversale. La questione riguarda Villari e Veltroni, noi non c'entriamo. Qualora Villari si dimetta, noi un minuto dopo siamo pronti a votare per Zavoli presidente, ma la precondizione e' il rapporto nel Pd"
(Italo Bocchino)

Ma come fa W. a cacciarsi in questi gineprai? E' un talentuoso.

Altro che Fiat


Marco Sodano
Per ogni posto di lavoro nell'industria automobilistica Usa - sono circa 240 mila -, ci sono altre sette persone impiegate indirettamente, venditori e fornitori. Non è tutto: i dipendenti dell'auto pagano l'assistenza sanitaria per due milioni di americani e le pensioni ad altri 750 mila. Basta moltiplicare per sette queste cifre per capire che se Detroit - lì hanno casa General Motors, Ford e Chrysler - vacilla, tremano tutti gli Stati Uniti.
L'eventuale fallimento di uno dei tre big delle quattro ruote - tutte in pesante crisi di liquidità - fa più paura di quello delle grandi banche d'affari. Quelle, inondando il mercato di titoli farciti di debiti tossici, hanno moltiplicato gli effetti della crisi nella finanza, mandando in fumo miliardi di risparmio. Queste potrebbero replicare lo stesso meccanismo: ma nell'economia reale, facendo svanire lo stipendio, e l'assistenza sanitaria, alla fine addirittura le pensioni, di milioni di cittadini Usa. Detroit è l'epicentro di un ciclone che si ingrossa a vista d'occhio.
Secondo Csm Worldwide tre quarti dei fornitori dell'auto fanno almeno il 20% del loro fatturato nel Michigan, il 37% supera la metà. Le agenzie di rating hanno ben presente il rischio: hanno ridotto il giudizio su due grandi fornitori e ne hanno messi sotto esame altri tredici. Nell'elenco ci sono colossi del calibro di Magna, Borg Warner e Johnson Controls.
La situazione è grave, insomma, e l'America ne è consapevole. Senza un aiuto straordinario dallo Stato è convinzione diffusa che almeno uno dei tre grandi costruttori di auto di Detroit fallirà. Sulle conseguenze David Cole, professore alla University of Michigan, non ha dubbi: <<Tutto il sistema - dice - è connesso in modo talmente stretto che se uno di questi ragazzi crollasse, si porterebbe dietro l'intero settore dell'auto>>. Qualcuno ha suggerito che, più che spingere per un piano di finanziamento straordinario, le case potrebbero ricorrere al Chapter 11, una forma di amministrazione controllata che permette alle aziende sull'orlo del fallimento di continuare la loro attività. Lo hanno fatto, in passato, moltissime compagnie aeree alle prese con il crollo che seguì l'11 settembre.

Giusto ieri il numero uno di Chrysler Robert Nardelli ha ventilato questa opzione alla Commissione dei Servizi Finanziari della Camera, mentre l'amministratore delegato di General Motors Rick Wagoner ha parlato di colloqui in corso con la Fed per ottenere la stessa assistenza riconosciuta alle banche. Resta il fatto che l'auto non è l'aviazione e il Chapter 11 espone al rischio di un crollo verticale delle vendite: nessuno comprerebbe un'automobile da un costruttore che è sull'orlo del fallimento, con la prospettiva - dopo un crac - di non poter far valere la garanzia o di trovarsi in difficoltà con i pezzi di ricambio.
Al Congresso si fronteggiano democratici e repubblicani: i primi spingono per accelerare il piano da 25 miliardi di dollari invocato nei giorni scorsi da Barack Obama - ma qualcuno sostiene che potrebbero bastarne 20 -, i secondi continuano a dirsi contrari. Non vogliono concedere gli effetti benefici di una mossa tanto popolare al neopresidente appena eletto. Durante le audizioni, cominciate la scorsa settimana, i sostenitori del pacchetto salva-auto hanno ricordato che il settore vale il 4% del Pil, che quasi tutti i posti di lavoro andrebbero persi tra le tute blu e che il Michigan ha già il tasso di disoccupazione più alto del Paese, il 9%. La speaker democratica del Congresso Nancy Pelosi giura che il fallimento di una delle tre sorelle di Detroit sarebbe <<devastante>>.
Sul fronte opposto i repubblicani: ieri la Casa Bianca ha annunciato che appoggerà un piano alternativo a quello invocato. Il portavoce Dana Perino ha detto che l'amministrazione Bush resta contraria a destinare altri fondi ai produttori d'auto. I repubblicani sostengono che il distretto di Detroit paga la sua incapacità di mettere sul mercato prodotti competitivi e che non è il caso di creare un precedente <<pericoloso>>. La crisi, dicono i repubblicani, colpirà anche altri settori, non si può immaginare che lo Stato salvi tutti. <<Vendano le partecipazioni all'estero>>: come il franchising Ford Europe o la joint venture cinese di Gm. Chrysler l'ha già fatto, vendendo il 20% della sua partecipazione in Mazda.

Sia come sia, sarà un bagno di sangue difficile da immaginare: <<Nessuna impresa delle dimensioni di Gm o Ford è mai arrivata al Chapter 11 - commentano gli analisti -. Impossibile prevedere l'impatto economico di questa eventualità>>.
(La Stampa)

mercoledì 19 novembre 2008

Quest'uomo non sta bene



Oddio, c'è uno che passeggia con il cane... e le finestre... illuminate...
Qualcosa che avviene dietro quella finestra illuminata...
Paura.... terrore...
Si sentono le voci. Gente che entra nelle porte...

Coraggio tedeschi

MARIO DEAGLIO
La bufera delle Borse ha avuto ieri, almeno in Europa, un momento di sosta; e per l'Italia le statistiche, che giorni fa avevano costretto a pronunciare la temuta parola «recessione», hanno rivelato, almeno fino a settembre, una tenuta abbastanza buona delle esportazioni italiane sia a livello di Unione Europea sia nel più vasto orizzonte mondiale. Per conseguenza, questo è forse quindi il momento giusto per riflettere sull'improvvisa gelata che si è abbattuta nelle ultime settimane sull'economia mondiale - e quindi anche su quella italiana - sorprendendo molti per la sua durezza e facendo drasticamente peggiorare le prospettive per i prossimi trimestri (per i prossimi anni, secondo alcuni).
Una delle poche misure credibili per contrastare questa situazione è rappresentata dal gigantesco programma infrastrutturale cinese, con i suoi 586 miliardi di dollari da spendere in due anni. Per quanto straordinariamente rapidi siano i cinesi, tuttavia, i due anni basteranno ad aprire i cantieri ma non certo a chiuderli e l'effetto di stimolo si rivolgerà soprattutto alle imprese cinesi e di altri Paesi asiatici e si ripercuoterà sul resto del mondo in maniera ritardata, indiretta e attenuata.
La Cina ha comunque dato il buon esempio. Perché mai l'Europa non la segue?
La risposta occorre cercarla a Berlino: di fronte a Francia e Italia disponibili a un rilancio europeo il cancelliere tedesco, signora Angela Merkel, è rimasto come impietrito e impaurito. Per conseguenza la Germania, ossia la vera locomotiva europea, sta frenando invece di accelerare, timorosa di essere trascinata nel gorgo dell'inflazione da alleati nei confronti dei quali riaffiorano vecchie paure e diffidenze.
La Germania si è opposta a un fondo europeo per le situazioni di crisi (salvo provvedere in maniera sostanziosa alle situazioni di difficoltà di alcune istituzioni finanziarie tedesche) e al progetto di finanziare progetti europei con l'emissione di obbligazioni della Banca Europea degli Investimenti e sta frenando su un'interpretazione meno «ingessata» del Patto di Stabilità: se tutti i Paesi portassero il loro deficit pubblico in prossimità del 3 per cento (o lo superassero temporaneamente di poco) il rischio inflazione sarebbe minimo e la ripresa quasi una certezza.
Vedremo alla riunionedel 26 di novembre della Commissione Europea se ne verrà fuori qualcosa di buono o soltanto il tradizionale cocktail di alti principi, buone parole e pochissime misure concrete. Tutti preferirebbero aspettare che il presidente eletto degli Stati Uniti, Barack Obama, li tolga d'impaccio tirando fuori dal cappello presidenziale un piano economico già bell'e pronto. Il suo slogan elettorale non era forse «Yes, we can!», «Sì, lo possiamo fare», e non ha forse detto dopo le elezioni che gli Stati Uniti sono il Paese in cui l'impossibile riesce?
Aspettando il piano Obama - che necessariamente tarderà e non sappiamo quanto potrà essere efficace - la crisi sta mettendo in ginocchio l'economia di tutto il mondo, dai cinquantaduemila bancari licenziati dall'americana Citigroup al sistema delle piccole, efficienti aziende semiartigianali su cui si regge l'economia italiana; dall'American Express, gigante delle carte di credito, che chiede affrettatamente di diventare banca per accedere al credito facile della Federal Reserve americana, alle piccole e medie imprese italiane nei cui confronti le banche nostrane, senza peraltro dire apertamente di no, si mostrano improvvisamente reticenti ed evasive e rinviano concessioni di credito che prima delle ferie si sarebbero prese con una rapidità molto maggiore.
I piani dei governi europei non sembrano tenere conto del velocissimo peggioramento della situazione dell'economia reale e appaiono tali da cominciare a produrre effetti solo in tempi lunghi. Le misure annunciate per l'Italia, peraltro non ancora note in sufficiente dettaglio, rientrano in questa categoria e sembrano soprattutto riorganizzare fondi europei sui quali in larga misura si poteva già far conto; inoltre intendono finanziare con un aumento (presumibilmente immediato) delle tariffe autostradali dei lavori autostradali che realisticamente inizieranno sul terreno non prima di 12-18 mesi, il che avrebbe un effetto di freno alla domanda, opposto quindi a quello che si vuole ottenere. Rischia di essere, secondo una nota espressione inglese, «troppo poco, troppo tardi».
Non è questa la ricetta che serve oggi. Parafrasando uno slogan caro all'attuale ministro dell'Economia, oggi serve «mettere del denaro nelle tasche degli italiani» delle fasce di reddito più basse; se non lo si vuol fare in nome dell'equità sociale, lo si faccia almeno in nome della ripresa dell'economia. E non basta una «mancia» che integra la tredicesima, per finanziare i regali di Natale di un popolo che, a ragione o a torto, si sente impoverito, né una «social card» che dà a chi la usa la patente ufficiale di povero: è necessario un flusso aggiuntivo su cui contare per un tempo indefinito che deriva da una riduzione delle aliquote fiscali sulle categorie dal reddito più basso. Naturalmente oggi il ministro dell'Economia non ha le risorse per un'operazione del genere e il discorso torna così al piano di rilancio europeo che dovrebbe essere presentato dalla Commissione il 26 novembre. E' l'ultimo treno per evitare che le (finora modeste) spinte recessive si rafforzino fino a travolgere un'Europa che non ha i giganteschi problemi strutturali degli Stati Uniti e potrebbe puntare i piedi per resistere alla crisi. Per questo sono necessari un po' più di coraggio a Berlino, una visione meno burocratica a Bruxelles e misure rapide, vicine ai veri problemi nelle altre capitali, a cominciare da Roma.
(La Stampa)

Senza parole






Due specie animali si scontrano, quella intelligente soccombe.

Troppa Grazia











Sei mesi per trovarne uno e ora ne abbiamo due.
Siamo un paese fortunato
.

Parla come mangi

"La complessità emersa nell’ambito di una discussione sull’autoriforma della didattica, ha messo in luce la molteplicità di articolazioni possibili tramite le quali immaginare una ristrutturazione dei processi didattici, cosi da poterli ripensare come non piu asserviti alla logica di disciplinamento introdotta dall’università del 3+2. Al tempo stesso queste differenze e pluralitá attestano tanto l’inevitabilità di contestualizzare queste riarticolazioni a contesti specifici, quanto la necessità diffusa di ripensare una trasformazione radicale dei processi formativi. Infatti, pur nelle differenze é emersa una chiara e totale opposizione al modello definito in Italia dal 3+2. Dall’assemblea si é prodotto quindi un dibattito complesso, espressione dell’esigenza dei differenti nodi di affrontare una discussione progettuale sull’autoriforma della didattica che dovesse tenere conto dell’articolazione di un confronto assembleare dal quale potessero risaltare la volontà di avviare un processo costituente e non di arrivare ad una definizione finale ed univoca delle pratiche che nell’attraversamento quotidiano delle facoltá e degli atenei giá aprono spazi di riappropriazione e decisione."
(Dal documento sulla didattica partorito nell'assemblea nazionale degli studenti a Roma)

Poco arrosto e troppo... fumo.



Il tempo è galantuomo






"Un buco di oltre 5 miliardi di euro mai versati. È il risultato della
raffica dei condoni fiscali introdotti con la Finanziaria 2003. Lo
rivela la Corte dei conti. I condoni non hanno dato i risultati
sperati: mancano infatti all'appello 5,2 miliardi rispetto ai 26
miliardi che sarebbero dovuti affluire nelle casse dell'erario in base
alle dichiarazioni di condono presentate. Ma qualcuno (in tanti) ha
fatto il furbo e ha evaso anche il condono."
(Corriere della Sera)

Il Corriere dimentica che l'autore della Finanziaria 2003 era un tal Giulio Tremonti. Quello che poi sarebbe diventato il nostro profeta economico.


martedì 18 novembre 2008

L'aiutino di Latorre

Comparazioni

"L'unica cosa da fare è non pagare più il canone. Il Tg3 mi insulta, mi oltraggia e mi prende in giro ogni sera....nun se po' guardà"
(Silvio Berlusconi)

E non ha visto il TG4...

Ottimi rapporti personali...

Dimissioni

Villari a Veltroni: "Dimettiti"

Ah, no era il contrario... ma siamo lì...

Voto Fini

"assistiamo sgomenti a una recrudescenza di episodi di violenza e purtroppo al verificarsi, nel nostro come in altri paesi europei, di manifestazioni di razzismo, antisemitismo, islamofobia. È dovere delle istituzioni impedire che tali fenomeni si diffondano, curando le patologie collettive da cui scaturiscono e queste malattie sono innanzitutto l’ignoranza e il degrado sociale. Ma c’è più in profondità una grande malattia che si chiama paura. Paura del diverso e insicurezza diffusa sono espressioni tipiche delle società in crisi di coesione e di prospettive"
(Gianfranco Fini)

Ditemi voi se è possibile che le cose più "di sinistra" che sento dire in giro da quasi un anno a questa parte le deve dire lui.

domenica 16 novembre 2008