domenica 9 marzo 2008

Tra Pd e Pdl 100 miliardi di promesse

Alberto Orioli
Il confronto
Un dato accomuna i programmi di Pd e Pdl: sono coperti – miliardo più, miliardo meno – a metà. Anche se il centro-destra spenderebbe più del doppio dei «democratici». In tempi di campagna elettorale si vendono sogni da pagare in consensi. I due leader principali, Silvio Berlusconi e Walter Veltroni, hanno scelto di non vendere miracoli, di stare al concreto. E per fortuna, perché chissà dove sarebbe arrivato il pallottoliere dei programmi visto che già adesso oscilla tra 72 e 87 miliardi per il Pdl e tra 19 e 28 per il Pd. Oltre un centinaio di miliardi da stipare nella cornucopia della campagna elettorale.
Più accentuata l'indicazione dei tagli di spesa corrente nel programma di Veltroni (confezionato da Enrico Morando) che dovrà essere di almeno mezzo punto di Pil il primo anno e un punto nel secondo e nel terzo (vale a dire 8 miliardi che diventano 16); più evidente la vasta operazione di valorizzazione dell'attivo patrimoniale dello Stato in quello di Berlusconi. Sarà proprio il piano casa di Renato Brunetta uno dei pilastri per l'azione di copertura dei costi del programma Pdl: la trasformazione in proprietari di 2 milioni di inquilini di case Iacp o comunali in cambio di un affitto che diventa rata di mutuo e consente alle amministrazioni di cartolarizzare l'intero importo di 20-30 anni. In gioco ci sono dai 18 ai 20 miliardi di incasso da cartolarizzazione. L'operazione era già stata inserita nella Finanziaria 2006, ma è rimasta lettera morta. Ora il più vasto piano Tremonti ingloba l'operazione Iacp nella maxi operazione di cessione di asset mobiliari, crediti, partecipazioni che potrebbe coinvolgere l'ingentissima somma di 700 miliardi. Lo stesso Veltroni recupera parte di questo approccio quando parla di valorizzare l'attivo patrimoniale non demaniale. I volumi stimati sono molto meno ingenti: prima occorre una definizione europea – dice Morando – quindi un aggiornamento dei valori per arrivare ad alcune operazioni di cessione sul mercato che potrebbero anche far scendere il debito al di sotto del 90% del Pil con un conseguente vantaggio sugli oneri per interessi per un controvalore di circa 10 miliardi. Ma è la partita fiscale quella che più caratterizza i due programmi. Il Cavaliere punta a colossali potature. L'obiettivo è far scendere dal 43,3 a sotto il 40% la pressione fiscale: ai dati attuali significa tagliare 52-53 miliardi.
Il Cavaliere vuole eliminare l'Irap (pari a 33 miliardi, se totale, e a 20 se calcolata solo su costo lavoro e perdite), poi le tasse su straordinari, tredicesime e quattordicesime che costerebbero una decina di miliardi. Quanto all'eliminazione Ici è noto che costerà 2 miliardi e sarà destinata per lo più a immobili di pregio (perché il resto è già esente). L'operazione dell'Iva per cassa potrebbe configurare, nel primo anno di applicazione, un mancato gettito di 20 miliardi una tantum per effetto delle posticipazioni dei pagamenti. Il fronte delle coperture è in parte affidato alla lotta all'evasione fiscale secondo le modalità del piano Tremonti del 2006, vale a dire affidando ai Comuni il 30% di compartecipazione sulle somme recuperate (i tecnici di Berlusconi accreditano una stima di 10 miliardi di incassi a regime per lo Stato, un po' meno di un terzo al primo anno). Veltroni toglie un punto di Irpef all'anno per tre anni con un taglio che peserà per 6,7-6,8 miliardi ogni 12 mesi sulle casse pubbliche. L'aumento della detrazione per il lavoro dipendente costerà 3,5 miliardi. Nel programma del Pd la copertura è affidata al recupero di evasione fiscale (che ipotizza un rapporto tra crescita della ricchezza nazionale e aumento delle entrare all'1,3, contro l'1,6 del 2007): niente condoni, controlli severi e frequenti. Insomma, la cura Visco. Che verrebbe anche riproposta nell'ampliamento del cosiddetto forfettone, ora esteso alle aziende fino a 50mila euro di fatturato, pari a circa 2 milioni di imprese. Un'operazione che produce, nell'immediato un piccolo calo di gettito (100-150 milioni) in cambio, però, di una maggiore fedeltà fiscale. I programmi divergono molto in tema di lavoro. Veltroni vuole il salario minimo a 1.000-1.100 euro netti mensili per i precari (platea che oscilla da 3,5 milioni a 800mila unità a seconda del tipo di contratti che si prendono in esame): l'extracosto rispetto a una media retributiva di circa 800 euro mensili lordi è caricato sulle imprese alle quali spetterebbe una compensazione – minima – con gli incentivi alle assunzioni. Il resto è fatto da crediti d'imposta per le assunzioni delle donne e dall'aumento della dote per i figli (2.500 euro l'uno fino a 3 anni pari a 1,2 miliardi).
Berlusconi punta su una strategia più liberale che vede l'estensione della legge Biagi, l'apertura di spazi di mercato per le nuove imprese soprattutto se fatte da giovani, l'applicazione di un credito d'imposta per chi assume persone al primo impiego. Il resto lo farebbe il completamento della Borsa lavoro per facilitare l'incontro tra domanda e offerta di personale. Infine gli incentivi. Ce ne sono per tutti i gusti – e spesso bipartisan – ma non quantificabili: per definizione dipendono dagli effettivi spazi di bilancio che si creano di anno in anno. Se, per puro esercizio, si ipotizzasse di stanziare 250 milioni di euro per ognuna delle voci oggetto di incentivazione diretta si avrebbe che Veltroni spenderebbe più o meno come Berlusconi. E, spesso, per le stesse cose.
(Il sole24ore)

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