venerdì 14 marzo 2008

La guerra in Abissinia

Siamo abituati ad una correlazione diretta ed immediata tra il prezzo del carburante al distributore e il prezzo del petrolio greggio. Cioè ci pare ovvio che un aumento della quotazione del greggio debba riflettersi in tempi più o meno rapidi in un aumento del prezzo dei carburanti. In realtà, il prezzo del petrolio incide solo in minima parte sul prezzo finale della benzina, possiamo stimare l'incidenza in non più del 17%. Quindi tenendo conto solo dei costi di produzione la benzina dovrebbe costare intorno ai 23 centesimi di euro. A questo dobbiamo aggiungere i costi di raffinazione e distribuzione che incidono per un altro 17% circa. Quindi il cosiddetto costo industriale del carburante dovrebbe attestarsi intorno ai 46 centesimi di euro. A questo punto dobbiamo aggiungere tutta una serie di oneri esogeni rispetto al processo produttivo/industriale:
1) le accise sulla sulla produzione e raffinazione
2) l'Iva che in Italia è applicata con l'aliquota massima del 20% equiparando i carburanti ai beni voluttuari
3) Il contributo per la guerra dell'Abissinia del 1935
4) Il contributo per la crisi del Canale di Suez del 1956
5) Il contributo per il disastro del Vajont del 1963
6) Il contributo per l'alluvione di Firenze del 1966
7) Il contributo per il terremoto del Belice del 1968
8) Il contributo per i terremoti del Friuli e dell'Irpinia
9) Il contributo per la missione militare in Libano
10) Il contributo per la missione militare in Bosnia del 1986
11) e per ultimo il contributo al finanziamento del rinnovo del contratto dei ferrotranvieri del 2004.
Ora, un aumento poniamo del 10 per cento del prezzo del petrolio, dovrebbe determinare un aumento, se non teniamo conto per semplicità dell'effetto delle scorte di giacenza nei terminal di raffinazione, massimo del 10 per cento ma calcolato solo sul costo industriale del carburante, calcolato quindi solo su quei 46 centesimi di euro. In realtà è esperienza comune che gli aumenti sono molto più elevati rispetto a quelli che abbiamo qui grossomodo e per esemplificazione calcolato! Il ragionamento economico non è semplice e tiene conto anche del fatto che molte delle componenti di prezzo elencate sopra,sono calcolate non in percentuale rispetto al costo industriale ma, come ad esempio le accise, sono liquidate sulla quantità di prodotto raffinato, quindi dovrebbero rimanere una componente pressoché stabile rispetto alle variazione del prezzo del greggio. In conclusione, il prezzo del carburante in Italia segue una tendenza ben nota agli economisti che è quella analizzata da Veblen per i beni primari: il prezzo è estremamente elastico verso l'alto, mentre è estremamente rigido verso il basso. Possiamo ragionevolmente ipotizzare, infatti, che se il greggio tornasse a un prezzo di 60 dollari al barile, il prezzo della benzina in Italia scenderebbe di pochi centesimi di euro. Non ci sono molte possibilità di azione su questo meccanismo di determinazione del prezzo in una economia di mercato, escludendo la possibilità di un intervento diretto dello Stato se non nelle componenti fiscali, pur auspicabile e considerando che l'autority per la concorrenza e il mercato non ha mai di fatto esercitato alcun controllo reale sulle ipotesi di collusione monopolistica dei petrolieri italiani, non rimane che sperare che il prossimo governo della Repubblica abbia il coraggio di introdurre quelle leggi di liberalizzazione della rete distributiva che nel resto dell'Europa ormai da diversi decenni hanno consentito di limitare i fenomeni inflattivi provocati dagli aumenti "concordati" del prezzo dei carburanti.

0 commenti: