estratti da un articolo
di Giuseppe D'avanzo
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L'aula della II E, che Raffaele frequenta (o frequentava), è al di là dell'antico chiostro in fondo al corridoio. I compagni e le compagne di Raffaele hanno come il muso. In questi giorni i giornalisti, protestano, hanno manipolato le loro opinioni, le hanno rimaneggiate per creare uno sciocco sensazionalismo. Non vogliamo difendere Raffaele, dicono, perché quel che ha fatto è gravissimo e se ne deve assumere tutto il peso, ma se ci chiedete se fosse un mostro, allora no, noi dobbiamo rispondere che non lo era, che non si è mai comportato da mostro.
Era in modo radicale di destra e discuteva con chi non lo era, o era di sinistra, senza aggressività. Si è rifiutato di entrare in sinagoga, ma siamo abbastanza certi che, se avesse avuto un compagno di banco ebreo, non lo avrebbe maltrattato o deriso a scuola, dove il suo comportamento è stato sempre corretto. Questo vuol dire, chiedono, assolvere Raffaele? Vuol dire raccontare, dicono, quel che sappiamo di lui. Che non era tutto. Purtroppo.[..]
In quella Verona dove può capitare - e capita spesso - che si senta dire in autobus "non siedo qui, accanto a questo negro" e nessuno che, intorno, disapprovi o censuri quelle parole... Magari chi le ascolta, non oserebbe mai pronunciarle, ma le giustifica".[..]
Le violenze e i pestaggi nel cuore di Verona sono comuni e ritualizzati. Piazza Viviani, via Mazzini, Veronetta, Volto San Luca, Corso Cavour, piazza Erbe ne sono state le scene negli ultimi mesi.
Puoi essere picchiato per un nonnulla. Puoi prendere una bottigliata in testa per un amen. Non importa la ragione occasionale. Non è quello che conta. Non è per lo spino rifiutato che muore Nicola. Nicola muore, dicono, "perché ha il codino", perché dunque è diverso, perché "non è conforme" e gli (improvvisati o professionali) addetti al futuro della città e alla custodia del suo passato e delle sue risorse escludono i diversi: "diverso - dice il procuratore Guido Papalia - è non solo il diverso per razza, ma diverso perché si comporta il mondo diverso; pensa diversamente; ha un atteggiamento diverso; si veste in modo diverso e quindi non può convivere nel centro della città che i razzisti vogliono chiusa ai diversi".[..]
Passano all'azione in nome di "un'identità minacciata". Identità, insegna Zygmunt Bauman, è un concetto agonistico. È come un grido di battaglia. Fragile e perversamente "coraggioso", Raffaele sente quel grido, lasciata l'aula del "Maffei" e le fatiche democratiche di "maffeiano".
Lo sente allo stadio dove impiccano il fantoccio di un calciatore "negro". Lo ascolta forte nella propaganda dei "nazistoni" del "Blocco studentesco". Lo intende nello stile di vita dei suoi compagni di bevute e di scorribande notturne tra le stradine della città. Afferra quel sentimento nella pianificazione del prossimo pestaggio, nelle risate, nella soddisfazione che segue. Raffaele avverte soprattutto che quel che fa, quel che pensa è condiviso perché in città c'è un sentimento che non lo biasima e non lo biasimerà.[..]
Vuol dire che c'è a Verona una "cultura" dell'esclusione che irrigidisce e sorveglia il confine tra "noi" e "loro" e "loro" diventano anche quei veronesi - moltissimi, e tra i moltissimi Nicola - che rifiutano o non avvertono il "potere seduttivo" di quell'"appartenenza".[..]
È difficile contestare che il sindaco di Verona, Flavio Tosi, alimenti la "naturalezza" di quel grido di battaglia "identitario". Che diffonda il presupposto che "si appartiene per effetto della nascita". Non per altro, qualsiasi cosa tu sia e faccia. Flavio Tosi non è un fascista. È un leghista che ama i fascisti, li coccola, li asseconda, forse cinicamente se ne serve. Oggi che la tragedia si è consumata, è evasivo, a volte frivolo, a volte ringhioso quando gli si ricorda che appena in dicembre ha sfilato accanto a nazisti del Veneto Fronte Skinheads; che appena qualche anno fa (11 settembre 2005) offrì le sue parole solidali - con una visita in carcere - a cinque giovani fascisti che avevano massacrato e accoltellato due ragazzi di sinistra, frequentatori di un centro sociale. [..]
(La Repubblica)
Le foglie morte non sono
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Le foglie, che morte non sono,
irradiano in cielo la luce,
filtrata dai rami che, nudi, vestirono.
E mi sembra, camminando,
che pestarle sia peccato
ché ...
1 mese fa
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