domenica 10 agosto 2008

L’oleodotto Btc e la Russia

di Anna Zafesova

Le bombe russe che piovono sulla Georgia in queste ore minacciano di distruggere non solo il fragile equilibrio geopolitico sulle rovine dell’ex’Urss, ma di sconvolgere anche quel nuovo Grande Gioco energetico che ormai da anni viene condotto nel Caucaso e in Asia. Ieri i caccia bombardieri russi avrebbero colpito l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (Btc), mancandolo.

La notizia è stata data ieri dal primo ministro georgiano Lado Gurgenidze, ma il condizionale per ora resta d’obbligo, considerata la scarsissima attendibilità delle contraddittorie informazioni che giungono dal Caucaso. Ma che si si fosse trattato di un attacco deliberato alle infrastrutture del Btc, di un bombardamento «casuale» o addirittura di un falso allarme, resta il fatto che a rischio, in queste ore, c’è anche la partita energetica globale, nella quale la Georgia non era solo una pedina.

Completamente sprovvista di risorse energetiche proprie, tanto da rimanere per anni al buio e al freddo a causa del razionamento, la repubblica caucasica però è in una posizione geografica che la rende strategica: un lembo di terra tra il mar Caspio e il mar Nero, l’unico transito possibile per il petrolio asiatico verso l’Europa che non passi dalla Russia, unica falla in quello che altrimenti Mosca - tra produzione propria e «gestione» logistica delle risorse altrui - potrebbe considerare un monopolio sulle risorse.

E proprio in questo «corridoio», nonostante l’opposizione della Russia, si è infilato il Btc, inaugurato dopo mille polemiche due anni fa, e gestito da un consorzio internazionale dove il socio leader e la British Petroleum, e tra gli altri ci sono la Total, la ConocoPhilips e l’Eni (con il 5%), ma nemmeno un russo. Lungo oltre 1.770 chilometri, ha capacità di un milione di barili al giorno, circa l’1% della produzione mondiale: un’arteria chiave per pompare petrolio azero verso la Turchia e il Mediterraneo.

E anche una via di fuga potenziale per gli altri partner di Mosca, come il Kazakhstan che oggi pompa il suo greggio attraverso le varie pipeline russe, più a nord, ma che non esclude di potersi affrancare dal monopolio del Cremlino, insieme ad altri protagonisti di un’area che contiene le maggiori riserve petrolifere dopo il Golfo Persico e la Russia.

Si capisce perché il Btc, ancora nella fase progettuale, apparve nel film di 007 «Il mondo non basta», nel quale una cattivissima e affascinante Sophie Marceau complottava per ottenere il potere assoluto attraverso il suo oleodotto. Le alternative russe, come il Baku-Novorossijsk che disgraziatamente passava in territorio ceceno - e a Mosca, negli anni ‘90 come adesso resta popolare la teoria che il separatismo di Grozny venne fomentato da «forze esterne» (leggi gli americani) che tifavano per il Btc - o l’oleodotto del Caspio (Ktk) che trasporta il greggio dalla kazaka Tenghiz attraverso i territori più a nord, che offrono una maggiore sicurezza essendo etnicamente russi, non hanno potuto battere la concorrenza.


L’oleodotto georgiano, infatti, ha il grande pregio di sfociare non nel mar Nero, bacino chiuso dal quale poi il petrolio deve uscire principalmente via nave, attraverso il Bosforo, ma nel porto turco di Ceyhan, sul Mediterraneo, a due passi dai consumatori finali europei. Non è un caso che il ministro georgiano per l’Economia, Ekaterina Sharashidze, ha voluto ieri attirare l’attenzione del mondo ricordando che con le sue bombe la Russia «ha preso di mira anche obiettivi di proprietà internazionale».

Un grande gioco al quale partecipano un po’ tutti, inclusi anche i separatisti curdi del Pkk che qualche giorni fa avevano già bloccato l’oleodotto Btc nella sua parte turca, facendolo esplodere. Considerato l’enorme rischio politico di quella regione incandescente, per la maggior parte del tragitto le tubature erano state interrate, anche a costo di aumentare le spese. Ma ora che sopra i 249 chilometri della pipeline - che in alcuni punti si avvicina al territorio dell’Ossezia del Sud di soli 55 km - volano caccia bombardieri, una bomba, caduta più o meno «per caso», potrebbe esplodere nelle borse petrolifere di mezzo mondo.
(La Stampa)

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