mercoledì 2 aprile 2008

Strane elezioni senza battaglia


di Giovanni Sartori

In vita mia di elezioni in giro per il mondo ne ho viste parecchie, se non altro per dovere professionale (le studiavo). Eppure la campagna elettorale in corso non cessa di stupirmi: è sicuramente la più strana che io abbia mai visto. Di regola, nelle democrazie «normali» le elezioni sono il momento del combattimento, della guerra senza esclusione di colpi. Ma subito dopo la guerra finisce. Abbastanza spesso chi ha perso «concede» e si rallegra con il vincitore. Dopodiché il leader sconfitto non passa a gestire in Parlamento una «opposizione- rivincita» ma un’opposizione senza barricate che non subordina il bene del Paese al bene della sua parte.

In Italia abbiamo invece capovolto tutte queste regole. Dalla seconda metà degli anni 90 il rapporto tra governo e opposizione è sempre stato di guerra continua; dopodiché a Prodi subentra un Veltroni che combatte un’elezione quasi senza combatterla: nomina il meno possibile il suo principale avversario, non risponde o risponde debolmente (senza contrattaccare) ai suoi attacchi. Diciamo che questa è una strategia irenica (in greco irene è pace). È una strategia vincente? Per chi si trova a dover risalire una china di circa 7 punti percentuali di svantaggio direi proprio di no.

Non so chi abbia suggerito a Veltroni la strategia soft, morbida e in sottotono, che ha perseguito sinora. Forse è Veltroni stesso che l’ha ricavata dai sondaggi, e cioè dall’esistenza di un largo pubblico esasperato e stufo della litigiosità continua dei nostri politici. Questa esasperazione c’è; ma i dati bisogna saperli interpretare. Io, per esempio, li interpreto così: che mentre gli italiani sono stufi della rissosità quotidiana, in tempo di elezioni hanno pur sempre bisogno di un combattimento, di botte e risposte, atte a chiarire le idee. Invece Veltroni batte le piazze illustrando il suo programma. Uno sforzo generoso ma poco redditizio.

Per rendersene conto occorre identificare i criteri del voto. Che può essere:

1) retrospettivo, punisce o premia il già fatto;

2) proiettivo o novitista, il votante spera e crede in un candidato;

3) identificato, il voto fisso di chi sposa una fede o bandiera a vita.

Va da sé che il terzo tipo di voto ci interessa poco; così come va da sé che il voto retrospettivo e proiettivo si mescolano anche se in proporzioni diverse.

Ed ecco un’ulteriore stranezza. Veltroni gioca tutte le sue carte sul voto proiettivo, sulla novità. Così scarta il voto punitivo, il consuntivo sul passato. Certo, risvegliare la memoria può essere pericoloso anche per la sinistra. I1 breve governo Prodi non lascia un buon ricordo, e la sinistra al governo è stata troppo di sinistra. Al che Veltroni può rispondere che i l malgoverno e non-governo di Berlusconi per 5 anni di fila è stato molto peggiore, e che lui della sinistra «troppo sinistra » si è liberato. Resta, però, che il voto «in avanti » si impernia sulla credibilità e sull’affidabilità dei candidati. E come si accerta questa credibilità? Ovviamente sulla base delle promesse che in passato hanno mantenuto o tradito. La stranezza è, allora, che Veltroni punta su una fiducia-sfiducia sulla quale si imbavaglia. Regalando così al Cavaliere una verginità che non merita. Temo che ormai sia tardi per rimediare. Ma forse non è tardi per dare più grinta e mordente a una campagna elettorale troppo flaccida.

(Il Corriere della Sera)

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