lunedì 16 giugno 2008

Ricordo di Cuore

Dopo Cuore, praticamente, non c'è più stata satira.

In memoria della mia collezione di Cuore che giace accatastata in un angolo del garage di casa mia.

di Edmondo Berselli
In estrema sintesi: «Tutto inizia nell´autunno dell´88, dentro un baretto della primissima periferia milanese, zona Fulvio Testi, dove si affaccia il palazzo di vetro dell´Unità. (…) Michele Serra mi fa: "Sto pensando a un nuovo inserto di satira, come testata mi piace Cuore". Rilancia chi scrive: "Settimanale di resistenza umana sarebbe un sottotitolo giusto"». Queste sono le parole di uno degli eroi che diedero vita a uno degli indimenticabili esperimenti di satira politica e civile, nonché per l´appunto umana di una generazione fa: il giornalista dell´Unità Andrea Aloi, a cui si sarebbero affiancati il reggiano Piergiorgio Paterlini, «un purosangue dell´anima», e Sergio Banali, «calvo talismano adorato».

Poi la cronaca di Cuore procede per conto suo, fino al 1991 come inserto satirico dell´Unità (che aveva già fatto ballare il Pci con il supplemento Tango, messo in croce con il celebre e scomunicato "Nattango"), poi da solo e sulla via di diventare, sempre nelle parole di Aloi, un «fenomenino editoriale», una robetta da 124 mila copie, e anche caso di costume, con un picco eccitante di vendite nel 1993 nella fase dell´avviso di garanzia a Bettino Craxi.
Le successive direzioni di Claudio Sabelli Fioretti, dello stesso Aloi e in ultimo di Stefano Disegni costituiscono il fisiologico galleggiare e infine l´esaurirsi di un´avventura che è rimasta nella memoria degli italiani di sinistra (e magari non soltanto di sinistra, perché l´iconoclastia della pattuglia di Cuore non si ritraeva se c´era da prendere a sberleffi la propria parte), suggellata dal successo delle Feste di Cuore a Montecchio (Reggio Emilia), che in qualche occasione misero insieme giri d´affari da un miliardo di vecchie lirette.


Adesso che fra pochi giorni esce nella Bur un´antologia tematica della rivista satirica (Non avrai altro Cuore all´infuori di me, con il sottotitolo "Vita e miracoli di un settimanale di resistenza umana", a cura di Andrea Aloi, Chiara Belliti, Mauro Luccarini, Piermaria Romani), tutti coloro che ancora si considerano orfani di Cuore, e deprecano il fatto che adesso si fa sempre meno satira e tira aria di inciucio, conformismo o rassegnazione, potranno rifarsi gli occhi ripercorrendo le 320 pagine del libro, ritrovando tutti i collaboratori da Altan a Beppe Mora, da Paolo Hendel a Elle Kappa, Lia Celi, Lella Costa, Vincino, insieme al côté culturale e civile rappresentato da Goffredo Fofi, Luigi Banconi, Nando Dalla Chiesa, Stefano Rodotà, Adriano Sofri; e, alla fine, le testimonianze di «chi c´era», a cominciare da Sergio Staino fino a Patrizio Roversi, David Riondino, la Gialappa´s Band, Gino & Michele, Danilo Maramotti e insomma più o meno tutti i protagonisti della resistenza umana già citata.

E quindi, dato che c´è il documento ufficiale, un volume intero in cui perdersi, si potrebbe tirare un bilancio di quella stagione. Si potrebbe allora dividere politicamente e culturalmente Cuore lungo tre filoni. Il primo è naturalmente quello del manifesto etico, estetico e culturale della sinistra residua, che si agita nei pressi del muro di Berlino e osserva la crisi della "Repubblica dei partiti", in quei disastrosi primi anni Novanta, ridendoci su ma anche con la percezione di una specie di angoscia che arriva, con l´ansia indescrivibile di essere superati dallo spirito del tempo.

È l´atteggiamento che si qualifica con i titoli più celebri del giornale, da «Scatta l´ora legale, panico tra i socialisti» a «Hanno la faccia come il culo», e anche con la rubrica in cui Paterlini decodifica le tortuosità del lessico politico riportandole a una greve materialità, a un esplicito e rivelatore valzer di interessi.

Viene da dire, a distanza di tempo che è la parte che oggi sembra più caduca: perché a suo modo rappresenta ed esprime la difficoltà della sinistra a capire le dinamiche del cambiamento politico nella civiltà di massa, dominata dalla televisione e dai media: e chiama il clan, la "tribù" di Cuore, autori e lettori, alla resistenza nel nome di una più alta qualità morale (oppure nel nome dell´inferiore qualità etica e civile degli "altri"). Insomma, tira un po´ troppo aria di Pci e post-Berlinguer in quelle pagine, anche se spesso il riscatto viene da furenti invenzioni comiche.


Il secondo filone invece è quello meno stressato in chiave politica, in cui si prende sotto mano, con le formule dell´ironia e soprattutto della parodia, il costume in corso di dirompente e magari deprimente cambiamento. In un contesto simile, non è più la politica, i socialisti, il Caf, a finire sotto accusa, bensì la trasformazione, quella sì "epocale", dei gusti e degli atteggiamenti in seno al popolo. La reazione di Cuore al profondo cambiamento avviato negli anni Ottanta, per capirci, "dall´edonismo reaganiano", viene individuata con modalità di risposta ambivalenti. Perché da una parte si mostra lo spaesamento, ed è uno spaesamento effettivamente "di sinistra", davanti al franare di convenzioni e di stili sociali, e al manifestarsi di una collettività nazionale ampiamente contagiata dalla perdita di riferimenti e bussole.

Ecco allora il titolo che meglio di ogni altro fotografa questo spaesamento: «L´uomo della strada è una bella merda». Con il sommario che recita: «Servile coi nuovi potenti, sciacallo coi vecchi padroni, l´"homo insultans" si sta affermando in tutto il paese, parlamento compreso. Come riconoscerlo? Si muove in branco per aggredire gli isolati e ha riflessi lentissimi: in genere si accorge di esser governato da cialtroni disonesti dopo averli votati per mezzo secolo».

Pare di riconoscere in queste parole gli indizi della "diversità" di sinistra, l´orgogliosa sicurezza delle minoranze, e forse anche l´autopercezione di essere in ritardo rispetto ai tempi: da cui deriva di solito, ed è in effetti derivata, una fondamentale incomprensione dei fenomeni anche politici che si sono manifestati nel corso dei Novanta.

Naturalmente Silvio Berlusconi è il protofenomeno della tendenza in atto, e il titolo di Cuore lo espone a caratteri cubitali: «Grazie Silvio! Neppure Carlo Marx era riuscito a sputtanare così il capitalismo». Senza forse riuscire a vedere il cortocircuito che alla fine saldava l´Italia di massa al suo piccolissimo e potentissimo Cavaliere. E quindi continuando a considerare il Nano come un´anomalia inconcepibile, il frutto di una degenerazione della politica, senza individuarne le ragioni storiche e politiche.


Ragion per cui alla fine forse il filone più moderno rintracciabile in Cuore è la scoperta e la valorizzazione del trash. Che forse comincia con la messa alla berlina della Duna, l´auto più sfigata della Fiat, immortalata in un delirante calendario del 1992 («Duna è… prestigio») e in una serie di servizi distruttivi («Il ´900 grida: Grazie Duna»).

E prosegue con il ripescaggio, attraverso «I grandi poster di Cuore», delle canzoni di Alessandra Mussolini, «Eia Eia Tralalà», con tanto di testi riprodotti «dal suo primo Lp giapponese, Amore»: «Se vuoi fare all´amore / la risposta è ancora no / anche fossi un buon dottore / da te non mi curerò». Ovvero lascia intravedere l´Alba tra i bovari, cioè il mito Parietti fra gli allevatori a Cuneo, e via via tutto il normale panorama di anni che è difficile non riconoscere come nostri. Oppure ancora la stranota e insostituibile rubrica Chissenefrega. E che sotto questa luce consegnano a Cuore, alla sua irresponsabilità creativa e felice, il primato di una innovazione lessicale e culturale che ha davvero aperto una strada e lasciato un rimpianto.

0 commenti: