giovedì 28 febbraio 2008

Addio pilastro verde

MARIO DEAGLIO


Da circa sessant’anni, ossia dal secondo dopoguerra, le economie dei Paesi ricchi si muovono in un contesto internazionale che poggia su tre pilastri: il ruolo centrale del dollaro, l’accessibilità delle materie prime energetiche a prezzi tali da non scatenare inflazione, i prodotti alimentari a buon mercato.

Il pilastro energetico era stato lesionato negli Anni Settanta e Ottanta, ma successivamente riparato. Nella giornata di ieri, però, tutti e tre i pilastri si sono messi a tremare in maniera preoccupante. Il prezzo del frumento ha toccato livelli da primato, anche perché le riserve mondiali di cereali sono al punto più basso da trent’anni (quando la popolazione mondiale era all’incirca la metà dell’attuale). Il petrolio ha toccato nuovi massimi, consolidandosi poi oltre la soglia psicologica di 100 dollari al barile.

Soprattutto, però, la quotazione della moneta americana si è indebolita sotto la soglia psicologica di 1,5 dollari per un euro con un ribasso a velocità crescente: in cinque anni il «biglietto verde» ha perso oltre il 30 per cento del suo valore rispetto alla moneta europea e metà di questa perdita è concentrata negli ultimi mesi. Il dollaro scende nei confronti non soltanto dell’euro ma, sia pure in maniera attenuata, anche dello yen, della sterlina e delle altre monete più importanti. E se un euro che sale troppo è un problema dei soli europei, un dollaro che scende troppo diventa un problema per il mondo intero.

Questi tre movimenti sono sufficienti a provocare un deciso disorientamento.

Einducono a domandarsi se sia possibile uscire da una situazione del genere con gli strumenti dell’economia di mercato oppure sia necessario un intervento diretto dei governi.

La risposta più semplice riguarda il frumento (e, più in generale, tutti i cereali). Lo stimolo dell’aumento del prezzo dovrebbe essere sufficiente, nel giro di un anno o due, a far salire la produzione e a risolvere nel breve periodo la situazione, in assenza di forti anomalie climatiche che, come è successo con le recentissime gelate cinesi, possono causare disastri per i raccolti. Tale risultato sarà più rapido e più sicuro se si utilizzeranno sementi geneticamente modificate, il che può provocare dibattiti gravi e scelte dolorose. In questo periodo di tempo, non è escluso che i governi dei Paesi esportatori cerchino di formare una sorta di «Opec del grano» per tener alto il prezzo e quelli dei Paesi importatori, specie se con situazioni di povertà diffusa, impongano temporaneamente qualche forma di prezzo massimo e/o di razionamento.

Per le materie prime energetiche, i Paesi dell’Unione Europea possono certo stabilizzare i prezzi rinunciando a parte delle entrate derivanti da un carico fiscale eccessivo; la vera stabilizzazione, però, può derivare soltanto da una diversa regolamentazione del mercato petrolifero. Dalle contrattazioni, infatti, dovrebbero essere esclusi gli operatori puramente finanziari, i quali contribuiscono all’instabilità dei mercati determinando caratteristiche ondate speculative. Secondo l’Unione Petrolifera, senza le contrattazioni speculative (di scarsa utilità nel quadro globale dell’economia) i prezzi del greggio potrebbero essere del 20 per cento più bassi e si tratta di una stima ragionevole.

Il vero problema riguarda però il dollaro, da sempre stella fissa del nostro firmamento finanziario, attorno a cui ruotano tutte le altre monete. È tempo di domandarci serenamente se la moneta americana possa ancora occupare a lungo questa posizione di centralità, di «metro universale» dell’economia mondiale. I ribassi a catena del costo del denaro dello scorso mese paiono motivati più dalla preoccupazione di evitare una recessione nell’anno delle elezioni americane che da una visione lungimirante del ruolo degli Stati Uniti nel mondo: per evitare una recessione, probabilmente di breve durata, gli americani si stanno giocando un predominio durato oltre mezzo secolo.

Per molte transazioni finanziarie il dollaro è già oggi utilizzato assai meno di qualche anno fa, pur rimanendo ancora largamente la moneta prevalente. Nella determinazione dei prezzi delle materie prime potrebbe utilmente essere sostituito da un paniere delle principali monete (in cui il dollaro continuerebbe, peraltro, a essere largamente rappresentato). I prezzi espressi in questa nuova unità di misura risulterebbero molto più stabili di quelli espressi in un’unica moneta e rifletterebbero assai meglio l’economia mondiale multipolare che si va delineando con l’irrompere sulla scena mondiale de grandi paesi asiatici.

Nell’attuale situazione, una «stella fissa» non può essere sostituita da un’altra «stella fissa». Il nostro universo economico ha «perso il Nord», ossia un punto di orientamento stabile; per evitare il caos servono interventi diretti, accuratamente meditati, preparati e coordinati, dei governi dei singoli Paesi. I problemi del governo dell’economia mondiale non sembrano però interessare i ceti politici dei vari Paesi, che ragionano pressoché soltanto in termini di appuntamenti elettorali, di conquista e conservazione a breve del potere. Un potere politico conquistato o conservato a breve può però valere ben poco in un’economia resa caotica dalla mancanza di interventi appropriati.
(La Stampa)

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