lunedì 23 luglio 2007

Gli anni '80

Avendo la fortuna di essere nato nel '72 e di aver cominciato a capire qualcosa di politica e del mondo in epoca post-ideologica, devo dire che condivido molto dell'articolo che segue.
Diciamolo gli anni 70 sono stati una gran rottura
ok il femminismo
ok la presa di coscienza di una generazione
ok la fantasia al potere
ma se uno voleva guardarsi un porno doveva prima controllare se il Libretto Rosso di Mao lo contemplava (non lo contemplava), e fin qui si poteva anche sopportare... ma poi arrivarono quei simpaticoni delle BR, Moretti (non quello della birra),Franceschini (non quello della Margherita),Curcio (non quello...), e con loro gambizzazioni, processi del popolo e amenità di questo tipo.

Dopo il decennio dove tutto era politica, come rinculo arrivano gli anni 80 e vai con la leggerezza, le tette al vento (vi ricordate Drive In?) tutto era cool, trendy, individualismo sfrenato (che viene da chiedersi se alla fin fine Craxi fosse stato la causa o l'effetto). Ok, non saranno stati tempi per intellettuali ma almeno non ci si sparava vicendevolmente e non era poco visto il numero di attentati del decennio precedente.

io mi ritengo un post-ideologico non appartengo a nessuna chiesa (nè cattolica, nè comunista) sono disposto ad ammettere errori e verità in entrambi i campi. Chissà che questo non sia dovuto al fatto di aver cominciato ad interessarmi alla politica quando ormai anche l'URSS era allo sfacelo e dopo aver vissuto l'adolescenza quando in televisione Milano era "da bere".

Buona Lettura.



dal “Corriere della Sera”

Gian Guido Vecchi

L'idea corrente è stata riassunta in modo mirabile, qualche mese fa, dal “manifesto”: «Spararono a John Lennon e iniziò un decennio di merda». Indro Montanelli li chiamava gli «anni di fango». Michele Serra, con sublime sarcasmo, gli «anni della rucola», e in effetti poco mancava che i locali di tendenza la mettessero pure nel cappuccino. Il vuoto pneumatico della «Milano da bere», spot accompagnato dalla musica dei grandissimi (e incolpevoli) Weather Report, è diventato il loro marchio. Eppure Enrico Letta, quarantenne neocandidato alla segreteria del Pd, non ha conservato un'idea così ripugnante degli anni Ottanta. Anzi: «Siamo la prima generazione postideologica», ha spiegato al Corriere. E quegli anni «bistrattati» sono stati «in realtà straordinari».

D'accordo, in un Paese dove si è arrivati a riabilitare gli agghiaccianti pantaloni anni Settanta a zampa di elefante, si può arrivare a rivalutare tutto. Ma in fondo, a sentire riflessioni e storie dei ragazzi di allora, non è che la fine dei «formidabili » Settanta sia stata questa gran disgrazia. Saranno pure stati anni «leggeri», per dire, ma siamo davvero sicuri che fosse un difetto? In fondo, giusto a metà degli anni Ottanta, Italo Calvino scrisse un capolavoro che sarebbe diventato il suo testamento spirituale, “Le lezioni americane”, e la prima delle «sei proposte per il prossimo millennio» era proprio «la leggerezza» come rimedio a «la pesantezza, l'inerzia, l'opacità del mondo»: bisogna arrestare la pietrificazione dilagante, fuggire lo sguardo della Gorgone, e «l'unico eroe capace di tagliare la testa alla Medusa è Perseo, che vola coi sandali alati».

Così lo scrittore Alessandro Piperno ricorda d'essere cresciuto «in un'epoca e in un ambiente nel quale la cultura umanistica non aveva nessun valore, e a coltivarla ci si doveva magari vergognare un po'», ma tutto sommato non se ne lamenta: «Credo che quell'esperienza di deserto culturale mi abbia giovato, è stata una palestra più interessante che non vivere in un'epoca di primato della cultura e della politica. Mi ha dato un senso del limite e anche dell'ironia, la capacità di non prendersi sul serio, e meno male perché se c'è una cosa che non sopporto è la figura dell'intellettuale-vate». Del resto «la mia scelta di dedicarmi alle lettere, seppure controcorrente, non fu particolarmente osteggiata. Ecco, il clima era questo: sei un tipo un po' strano ma nessuno ti ostacola. Probabile che in anni più ideologici non fosse così».
A parlarne, ricorre un senso di libertà. Magari, ecco, era tutto un po' più complicato, senza punti di riferimento. «È stato un decennio di confusione, ma come avviene nella ricerca il disorientamento è fertile, crea nuove opportunità»: Angelo Vescovi, scienziato di fama internazionale e condirettore dell'istituto di ricerca sulle staminali al San Raffaele, non parla in astratto. Si laureò nell'87 da studente lavoratore, «nel primo anno e mezzo mi pagai gli studi facendo l'operaio: studiavo di notte e di giorno tagliavo le lamiere, ho ancora i segni sulle mani...». E pensare che aveva scelto un'altra strada: «Ero perito chimico, ma in quegli anni l'industria chimica andò in crisi. Così mi iscrissi a biologia». Qui sta l'essenziale: «Ricordo un decennio di transizione, il vecchio non era ancora stato sostituito dal nuovo, ma è nel caos che affondano le radici i grandi cambiamenti».

Certo gli aspetti negativi restano. La scrittrice Paola Capriolo iniziò allora, «per me sono anni di ripiegamento nella scrittura, di grande concentrazione e chiusura agli stimoli esterni». Una scelta ma forse anche lo spirito del tempo: «Per la verità lo spirito del tempo era che non esisteva nessuno spirito del tempo», ride. «È vero, la fine delle ideologie dà un senso di libertà, ma a queste non si è sostituito nulla che non sia l'"arricchitevi", il puro perseguimento dell'interesse privato. E ora ne vediamo le conseguenze nefaste: nessuna idea di bene comune, solo un fai-da-te della felicità individuale che non mi pare abbia funzionato: di gente felice in giro non ne vedo».

D'altra parte bisogna stare attenti, «è evidente che ognuno idealizza i propri vent'anni e Letta fa il classico errore di un essere umano» scherza Linus, direttore di Radio Deejay. Lui cominciò a sfondare allora «ma non ho un bellissimo ricordo di quel periodo, nella mia testa vincono le immagini più forti, l'ansia di apparire, la superficialità, film e video orribili e quelle ragazze tutte uguali, capelli ricci, spalline e pantaloni da ussaro... Eravamo convinti d'essere molto moderni e in realtà ci mostravamo ancora un po' naif». Comunque «non si può massificare un periodo », dice Linus.

Dipende dai punti di vista. Giuseppe Girgenti, allievo di Giovanni Reale e docente di Filosofia antica, ricorda «da cattolico» quel periodo «iniziato con l'attentato a Giovanni Paolo II e finito con il crollo del Muro: già al liceo si percepiva il cambiamento del mondo, l'apertura di grandi speranze». E poi non c'è solo la Milano da bere, «per un palermitano come me sono gli anni delle stragi mafiose, degli assassini di Piersanti Mattarella e Carlo Alberto Dalla Chiesa, del maxiprocesso di Falcone, forse per un milanese il clima era più rilassato ma altrove...».

Prospettive diverse. Pensate cosa potrebbe dire un ragazzo di diciotto anni che nell'82 vinse la coppa del Mondo in Spagna. «Si figuri! In quegli anni ho vinto il Mondiale, lo scudetto con l'Inter e soprattutto ho conosciuto mia moglie, che potevo desiderare di più?». Eppure Beppe Bergomi ha mantenuto una certa distanza critica: «Non so fuori, ma il mondo del calcio era un po' ovattato. Forse i giocatori di oggi sono più consapevoli, non so. Allora si viveva tutto con superficialità, spensieratezza, senza guardarsi troppo intorno. Io devo ringraziare l'educazione dei miei, se ho mantenuto i piedi per terra. Dopodiché, sono maturato dopo i trent'anni: quando finisci di giocare e la vita comincia».

Roberto D'Agostino trovò una definizione memorabile: «L'edonismo reaganiano». Ma «quello era il contenitore, c'era anche Kundera a dare sostanza filosofica », sorride il creatore di Dagospia. Che magnifica la «belle époque », con buona pace dei nostalgici Anni Settanta: «Io non so. Eravamo tutti reduci da un decennio che zampillava di sangue e di morti, di ideologismo a colpi di P38, di droga, il più brutto periodo della nostra vita. E poi la vita si è trasformata. Il fenomeno Umberto Eco, “Il nome della rosa” che unisce il basso e l'alto, quando nasce? E il boom di Adelphi, prima considerata "fascista"? E la transavanguardia? E il design? E la moda? Altro che gli anni della discoteca: inizia la tv commerciale, il computer, pure il telefonino!». Ma allora da che dipende la cattiva fama? «Dal fatto che per certi, a sinistra, gli Anni Ottanta significano Craxi e l'avvento di Berlusconi con le sue tv. Solo che l'esistenza non è fatta di Berlusconi né di Craxi! Negli Anni Ottanta abbiamo cambiato la nostra vita e questi ancora rompono con quei due personaggi? Ma deché?».

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