lunedì 15 giugno 2009

Italia stracciona

di Massimo Giannini
D'accordo, gli affari sono affari. Le leggi del profitto non sempre coincidono con i principi morali. E il business, come diceva quel tale, a volte "è un lavoro sporco, ma qualcuno deve pur farlo". E' tutto vero. Ma c'è qualcosa di umiliante nel modo in cui l'establishment economico (non solo quello politico) si è prostrato per baciare l'anello di Sua Altezza Muhammar Gheddafi.
Prima l'incontro pubblico con il gotha di Confindustria, che il Colonnello ha blandito con una garanzia ("la Libia non venderà mai risorse energetiche a scapito dell'Italia") e rassicurato con una bugia ("finché c'è Berlusconi al governo siete fortunati"). Poi il vertice riservato con l'amministratore delegato dell'Eni Paolo Scaroni, ricevuto lontano da telecamere accese e da orecchie indiscrete sotto l'ormai mitica tenda beduina di Villa Pamphili.
E' la famosa "geopolitica del gas e del petrolio", che ancora una volta rende questo Paese tragicamente dipendente da qualunque fornitore, che si tratti della democratica Norvegia o della dispotica Russia. E' la promessa di far costruire alle aziende italiane opere infrastrutturali nel territorio libico per oltre 5 miliardi di dollari in 20 anni.
Insomma, c'è poco da scandalizzarsi: it's the economy, stupid. Ma c'è modo e modo di accaparrarsi commesse e contratti. Non ci si può presentare col cappelluccio in mano, neanche fossimo l'Italietta prostrata del dopoguerra che il povero De Gasperi andò a raccomandare all'America, ottenendo un primo assegno da 50 milioni di dollari dal segretario di Stato Byrnes.
Era il gennaio del '47, e nella delegazione italiana gente del calibro di Guido Carli non poté partecipare al ricevimento alla Casa Bianca: non aveva neanche i pochi soldi necessari per affittare il frac imposto dal cerimoniale. L'Italia di oggi non naviga nell'oro. Ma, nonostante il Cavaliere, non è ridotta come quella di allora. Via, signori imprenditori, un po' di dignità.
(La Repubblica - via Dagospia)

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