di Giuseppe Turani
E’ tradizione, quando gli italiani partono per le vacanze, chiedersi come sarà l’autunno, che cosa troveranno cioè al loro rientro. Oggi, però, conviene fare una piccola deviazione e domandarsi invece che cosa potrà essere l’autunno americano. Anche perché da come sarà dipenderà molto del nostro. E qui ci sono le sorprese, e le preoccupazioni.
In apparenza, tutto sembrerebbe andare per il meglio. Nell’ultimo trimestre dell’anno scorso gli Stati Uniti sono andati indietro dello 0,2 per cento. Un brutto segnale. Ma poi si sono subito ripresi e nel primo trimestre di quest’anno la loro crescita è stata dello 0,9 per cento. Ancora meglio sono andate le cose nel secondo trimestre (quello che si è chiuso a giugno): la crescita è stata di quasi il 2 per cento (1,9, per la precisione).
Un osservatore un po’ distratto potrebbe concludere che ormai l’economia americana ha superato le sue difficoltà e che ha imboccato la strada della ripresa: da qui in avanti le cose non possono che andare meglio. Invece non è così. Il rischio che le cose peggiorino (e di parecchio) è reale.
Per accorgersene, basta guardare i dati. La crescita del secondo trimestre è di fatto tutta frutto delle esportazioni che sono cresciute (dato annualizzato) di oltre il 9 per cento rispetto al trimestre precedente. Gli investimenti sono crollati e i consumi si sono mossi di pochissimo. Da lontano sembra quasi di leggere dei dati italiani: tira l’export, ma ristagna la domanda interna.
Dentro i numeri relativi al secondo trimestre c’è però una specie di sirena d’allarme, che si è messa a suonare fragorosamente: le imprese hanno liquidato (e con una certa larghezza) le loro scorte di magazzino. Questo potrebbe essere frutto di un errore: gli imprenditori americani hanno pensato di essere dentro la recessione e hanno fatto fuori le merci che avevano già prodotto, prima che il mercato le rifiutasse. Ma, in realtà, i consumi hanno tenuto abbastanza e c’è stata crescita. Allora, non c’è stato errore, ma c’è stata una previsione (un po’ sinistra): gli imprenditori americani pensano che le cose andranno sempre peggio e vogliono arrivare dentro la crisi con poche merci in magazzino, leggeri.
Si sbagliano? Probabilmente no. Visto che più di un centro di ricerca prevede un quarto trimestre (ottobre-dicembre) decisamente negativo (cioè con crescita sotto lo zero). Inoltre, non può essere sottovalutato il fatto che ormai da sette mesi il “sistema America” perde regolarmente occupati (al ritmo di 60-70 mila unità al mese). E’ evidente che, se diminuisce il numero delle buste paga, non possono aumentare i consumi interni.
Inoltre, non è affatto finita la crisi del credito. Anzi, molti sono convinti che il peggio deve arrivare. A settembre ci sarà la grande asta pubblica delle case “sub-prime” sequestrate (cioè quelle per cui non sono state pagate le rate). Le banche, che ne sono entrate in possesso forzosamente, pur di liberarsene, le svenderanno, come è tradizione. C’è quindi il pericolo che i prezzi degli immobili subiscano un altro duro colpo. Ma, in questo caso, diventeranno indifendibili non solo i prestiti sub-prime, ma anche molti “prime”, cioè regolari. Con il rischio di nuove difficoltà per le banche e per il credito.
Ma ci sono altri segnali allarmanti. La General Motors (per anni azienda numero uno al mondo) ha chiuso i conti del secondo trimestre con una perdita di 15 miliardi di dollari. Sembra che dentro queste perdite ci siano anche molte rate delle auto non pagate: chi non riesce più a pagare il, mutuo della casa, evidentemente non paga nemmeno quello dell’auto. Insomma, forse sta arrivando una crisi “auto-prime”.
Ma c’è, se possibile, ancora di peggio. La grande banca d’affari Merrill Lynch (da cui uffici una volta passavano due su tre delle azioni scambiate nel mondo) ha venduto 30 miliardi (di dollari) di obbligazioni al 20 per cento del loro valore facciale (e ha finanziato il compratore). Si è accorta, insomma, di avere in casa della cartaccia (dei crediti molto dubbi, poco esigibili) e li ha svenduti pur di ripulire il proprio bilancio. Poiché non c’erano compratori, ne ha inventato uno e gli ha prestato i soldi necessari. Ha pagato uno perché gli portasse fuori l’immondizia. Avete presente quelli che si chiamano per sgombrare cantine e solai dalla roba vecchia? La stessa cosa.
Dentro le banche, sembra di capire, non c’è solo la faccenda dei prestiti “sub-prime”. Probabilmente ci sono anche altri casi di prestiti fatti con troppa facilità a soggetti che si stanno rivelando incapaci di far fronte ai loro impegni.
Se le cose stanno così, nessuno è più in grado di dire quando finirà la crisi del credito (che sta frenando l’economia mondiale). Anche perché trattare un’obbligazione di una banca, a questo punto, può essere una cosa più rischiosa dell’andare a farsi una giocata a Las Vegas.
Insomma, l’autunno americano non sarà una tranquilla passeggiata lungo viali leggiadri rallegrati dai colori delle foglie che cadono. Sarà, se questi segnali sono corretti, una specie di inferno.
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