In economia ci sono dei termini che potrebbero sembrare di difficile comprensione. Uno di questi è la stagflazione.
Il termine comparve per la prima volta negli anni sessanta per indicare quella particolare situazione macroeconomica caratterizzata da una contestuale presenza di inflazione e stagnazione dell'economia di un paese. Prima degli anni sessanta, le teorie economiche consideravano possibili due soli schemi: quello della coesistenza di inflazione e crescita dell'economia, oppure quello della coesistenza di deflazione e recessione dell'economia. Il ragionamento alla base di questi due ragionamenti è molto semplice.
Le grandi teorie economiche del novecento, quella keynesiana in particolare, funzionavano benissimo, con le loro ricette, per risolvere nel medio periodo, cioè nell'arco di 4 o 5 anni, le due situazioni critiche possibili: crescita-inflazione e stagnazione-deflazione. Keynes suggeriva in ogni caso di intervenire sulla massa di moneta in circolazione. Se c'è recessione e la domanda dei consumatori è debole, lo Stato può intervenire con la spesa pubblica, realizzare grandi opere, costruire strade e ponti, ferrovie e autostrade. Immette così una enorme massa di liquidità nel sistema, stimola la domanda e i prezzi tendono a salire. Ci si avvicina all'equilibrio. Se c'è crescita eccessiva lo Stato deve comportarsi in modo opposto, deve ridurre la quantità di moneta esistente nel sistema, come? Ad esempio alzando il tasso di sconto, il denaro in banca costa di più e gli imprenditore ne chiedono meno in prestito; oppure può collocare titoli del debito pubblico sul mercato, così i cittadini danno denaro allo stato in cambio di titoli. La quantità di denaro nelle tasche dei cittadini si riduce, domandano meno beni, l'economia tende di nuovo verso l'equilibrio.
Tutto ciò entra in crisi negli anni sessanta. Compare un fenomeno nuovo, gli economisti non sanno che pesci pigliare, come spiegare il fatto che in una economia pure in stagnazione i prezzi potessero salire a ritmi vertiginosi, anche del 20% all'anno come in Italia. Una ragione fu individuata nella conflittualità sociale: i sindacati sono forti in quegli anni, le lotte sociali molto dure, gli operai vogliono migliori condizioni di vita e ottengono aumenti salariali. Le imprese finanziano i maggiori salari con aumenti dei prezzi dei beni che producono, ma se i prezzi aumentano, i sindacati chiedono e ottengono nuovi aumenti dei salari e così via. Si innesca la famosa spirale dei salari e dei prezzi, è un gatto che cerca di mordersi la coda. Le economie occidentali entrano in una crisi profonda, la disoccupazione è altissima, le tensioni sociali segnano uno dei periodi più drammatici delle storia economica moderna. Dalla crisi escono dopo circa un ventennio con gli anni ottanta e dopo drammatici processi di ristrutturazione industriale.
Ancora oggi non c'è un modello di intervento per riportare una economia su un sentiero di crescita in equilibrio nell'ipotesi di stagflazione: è come cadere nelle sabbie mobili, si viene spinti sempre più in basso e uscirne è difficile. Per contrastare l'inflazione infatti, le Banche Centrali dovrebbero "asciugare" la liquidità esistente. cioè ridurre le monete nelle nostre tasche, ma se diminuisce il denaro che possiamo spendere acquistiamo meno beni, le imprese producono meno, la disoccupazione anziché diminuire aumenta. In conclusione, la stagflazione è una brutta gatta da pelare.
1 commenti:
In materia di stagflazione oggi abbiamo le idee un po' più chiare. La causa più credibile è nell'inflazione esogena, cioè nell'aumento dei costi di produzione causato da un aumento dei prezzi delle materie prime, in specie del petrolio. Non a caso i due periodi storici di stagflazione coincidono con il 1973 e con il 1979, gli anni dei due grandi shock petroliferi. La scuola neoliberista di Friedman approfittò con abilità di questo dato empirico e lo trasformò nella leva teorica per rovesciare l'impostazione keynesiana: ma anche su questo oggi cominciamo a nutrire qualche dubbio. Ad esempio: il dubbio se non sia il caso di tornare a parlare di politiche dei redditi e fiscalità redistributiva. Ma questa è un'altra storia... La precisazione mi è parsa doverosa. Un cordiale saluto. Michele Ballerin
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