venerdì 25 gennaio 2008

Il Papa non parla

mercoledì 23 gennaio 2008

Marco Pannella sull’eleganza cardinalizia

La Rai e il Vaticano

“Le verità di Vespa e le cifre di Pannella”, di Norma Rangeri, Il Manifesto (18 gennaio)

“Ci voleva la contestazione universitaria al papa per fare il miracolo di vedere seduti sulle poltroncine di Porta a Porta Marco Pannella, Marcello Cini e Piergiorgio Odifreddi. Al formidabile trio il compito di confutare l’ultima, colossale bufala mediatica, replicata da tutti i giornali e i telegiornali del regno: al papa è stato impedito di parlare. E, altro miracolo, ci sono riusciti. Nonostante gli insulti e il conduttore che gli giocava contro.

Agli insulti di Giuliano Ferrara (uno dei tre ospiti papalini: gli altri due erano Buttiglione e monsignor Fisichella), i professori non hanno badato. Se uno dice «raglio dell’asino non sale al cielo» (Ferrara), meglio lasciar perdere. Se un altro (Buttiglione) aggiunge «professori mediocri» mentre la telecamera inquadra il suo calzino calato rovinosamente sulla scarpa, non vale la pena aggiungere altro.

Ripetere che al papa è stato impedito di parlare è dura se c’è Pannella che ti snocciola i dati del presenzialismo Vaticano nei nostri telegiornali. Le cifre del leader radicale parlano da sole: dal 19 aprile 2005 (anno in cui è stato eletto Ratzinger) al 14 gennaio 2008, il Tg1 ha dato il 35,45 per cento al governo e il 29, 13 per cento al Vaticano, mentre il Tg2 ha assegnato il 34 per cento al governo e il 32 al Vaticano. Numeri che chiariscono quel che i telespettatori sanno molto bene: la nostra televisione è ossessivamente papalina come nessun altra al mondo. […]”

E dillo prima....

Ferrara che fa di un fatto privato una pubblica battaglia....


Dal “Corriere della Sera” - Giuliano Ferrara, in un'intervista su “Grazia” (in edicola oggi) interviene sulla sua battaglia per la moratoria dell'aborto, citando anche il suo vissuto: «Ho raccontato di essere stato complice di tre aborti. Li ho vissuti come un delitto morale, un atto di violenza contro me stesso, le mie compagne di allora e contro le creature che oggi avrebbero 25, 30, 35 anni. Dietro questa battaglia c'è anche la nostalgia della paternità mancata. Il direttore de “Il Foglio” parla anche del rapporto con la moglie Anselma Dell'Olio, femminista della prima ora che proprio su “Grazia” ha di recente difeso la legge 194: «Anselma ritiene che non si debba modificare una legge che tiene lontane le donne dall'aborto clandestino. Lo penso anch'io. Ma è d'accordo con me che una riflessione critica sull'aborto vada fatta».

Dieci anni orsono ho avuto un problema di stipsi... chiedo la moratoria contro il Dissenten

martedì 22 gennaio 2008

Deja vù

L'adunanza secondo Travaglio

Marco Travaglio per “l’Unità”

La grande adunata di piazza San Pietro dimostra un fatto ormai incontrovertibile: bisogna salvare papa Ratzinger dagli intrighi del cardinal Ruini, che gli ha fatto trovare sotto il balcone una collezione di supporter davvero imbarazzante. Eugenio Scalfari insinua che Ruini appartenga alla schiera degli atei devoti, cioè a quella bizzarra setta di miscredenti che se ne infischiano del Padreterno, ma in compenso sono molto affezionati alle sottane cardinalizie e pretesche.

Noi non arriviamo a tanto, ma se in questi anni il Cardinal Vicario avesse annunciato la resurrezione di Gesù - che poi è il fondamento della fede cristiana - con lo stesso vigore e la stessa verbosità con cui ha battuto cassa per l’8 per mille, ha predicato la castità ai gay, ha fatto campagna elettorale nel referendum sull’eterologa e s’è scagliato contro le coppie di fatto, probabilmente le chiese, i conventi e i seminari sarebbero un po’ più pieni, o meno vuoti.

Pare quasi che, dei dieci comandamenti, ne siano rimasti in vigore solo un paio: il VI (non fornicare) e il IX (non desiderare la donna d’altri). Altri, a cominciare dal VII (non rubare) e dall’VIII (non dire falsa testimonianza, cioè non mentire), sono stati depenalizzati, o sono caduti in prescrizione. Altrimenti alcuni noti bugiardi e profittatori del denaro pubblico che si spellavano le mani all’Angelus avrebbero avuto qualche problema a mostrarsi in pubblico, col rischio di sentir parlare di corda in casa dell’ impiccato.

E dire che, meno di un anno fa, papa Ratzinger lanciò un anatema capace di incenerire, se solo qualcuno l’avesse ripreso col dovuto rilievo, mezzo Parlamento: «Può stare nel luogo santo chi ha mani innocenti e cuore puro: mani innocenti sono mani che non vengono usate per atti di violenza, sono mani che non sono sporcate con la corruzione e con tangenti. È puro un cuore che non si macchia con menzogna e ipocrisia, un cuore che rimane trasparente come acqua sorgiva perché non conosce doppiezza» (1 aprile 2007). Roba che, a ripeterla domenica, avrebbe trasformato in statue di sale un bel po’ di politici plaudenti.
Totò Cuffaro, indaffarato fra veglie di preghiera e distribuzione di cannoli ex voto, e vilmente aggredito da maestri di morale come Miccichè e Dell’Utri, non c’era: a Palermo, di questi tempi, non puoi distrarti un attimo. Ma lo sostituivano degnamente il senatore a vita Giulio Andreotti, che dell’VIII comandamento è un esperto mondiale (mentì al tribunale di Palermo una trentina di volte); e il presidente Udc Piercasinando, accompagnato dalle sue numerose famiglie e reduce da un’indimenticabile vacanza a Cortina (dov’è stato multato sulle piste innevate perché sciava con lo skipass della figlioletta Benedetta per risparmiare qualche euro, a riprova delle ristrettezze in cui versano le famiglie italiane col governo di centrosinistra).

C’era anche Clemente Mastella, che com’è noto è molto religioso: infatti nel 2000 presenziò come testimone dello sposo (l’altro era Vasa Vasa) alle nozze di Francesco Campanella, il mafioso di Villabate che si divideva tra la cosca e la carica di segretario nazionale dei giovani dell’Udeur. Non risulta che la cosa abbia mai suscitato le ire della Santa Sede, forse perché quel matrimonio avvenne tra un uomo e una donna davanti all’altare, secondo i dettami di Santa Romana Chiesa, e poco importa se l’uomo era un mafioso.

Vergognamoci per lui

Ma si può usare a fini politici la malattia della madre? Lui può.
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(Ansa) - ’Vado a Roma, speriamo che questa sia la volta buona’: lo ha detto, alludendo a una possibile caduta del governo Prodi, Silvio Berlusconi, all’uscita dalla casa della madre Rosa, con cui oggi ha passato alcune ore. Proprio parlando della condizioni della madre, per ora stazionarie, Berlusconi ha spiegato meglio il suo pensiero: ’Quando le ho detto che vado a Roma perche’ forse cade il governo, lei subito prontissima mi ha detto ’lo spero proprio’: fa parte dell’83% degli italiani che - ha concluso - si augurano.

domenica 20 gennaio 2008

da Liberazione

Caro Presidente,
tempo fa, dovendo scriverti per invitarti ad una iniziativa di MicroMega, chiesi tramite il tuo addetto stampa se dovevo continuare ad usare il “tu” della consuetudine precedente la tua elezione, o se era più consono che usassi il “lei”, per rispetto alla carica istituzionale. Poiché, tramite il tuo addetto stampa, mi facesti sapere che preferivi che continuassi a scriverti con il “tu”, è in questo modo che mi rivolgo a te in questa lettera aperta, tanto più che, essendo una lettera critica, mi sembrerebbe ipocrisia inzuccherare la critica con la deferenza del “lei”.

Il mio dissenso, ma si tratta piuttosto di stupore e di amarezza, riguarda la lettera di scuse che in qualità di Presidente, dunque di rappresentante dell’unità della nazione, hai inviato al Sommo Pontefice per l’intolleranza di cui sarebbe stato vittima. E’ verissimo che di tale intolleranza, di una azione che avrebbe addirittura impedito al Papa di parlare nell’aula magna della Sapienza, anzi perfino di muoversi liberamente nella sua città, hanno vociato e scritto tutti i media, spesso con toni parossistici.

Ma è altrettanto vero che di tali azioni non c’è traccia alcuna nei fatti. La modesta verità dei fatti è che il magnifico rettore (senza consultare preventivamente il senato accademico, ma mettendolo di fronte al fatto compiuto, come riconosciuto dallo stesso ex-portavoce della Santa Sede Navarro-Vals in un articolo su Re-pubblica) ha invitato il Papa come ospite unico in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico (a cui partecipano in nome della Repubblica italiana il ministro dell’università e il sindaco di Roma), e che, avutane notizia dalla agenzia Apcom il professor Marcello Cini (già dallo scorso novembre) e alcune decine di suoi colleghi (più di recente) hanno espresso per lettera al rettore un loro civilissimo dissenso.

Quanto agli studenti, nell’approssimarsi della visita alcuni di loro hanno espresso l’intenzione di manifestare in modo assolutamente pacifico un analogo dissenso, nella forma di ironici happening.

Il rettore Guarini ha comunque rinnovato al Papa l’invito, e tanto il Presidente del Consiglio Romano Prodi quanto il ministro degli Interni Giuliano Amato hanno esplicitamente escluso che si profilasse il benché minimo problema di ordine pubblico (malgrado la campagna allarmistica montata dal quotidiano dei vescovi italiani, “L’Avvenire”, rispetto a cui le dichiarazioni di Prodi e Amato suonavano esplicita smentita). Nulla, insomma, impediva a Joseph Ratzinger di recarsi alla Sapienza e pronunciare nell’aula magna la sua allocuzione.

Di pronunciare, sia detto en passant e per amore di verità, il suo monologo, visto che nessun altro ospite contraddittore o “discussant” era previsto, e un monolo-go resta a tutt’oggi nella lingua italiana l’opposto di un dialogo, checchè ne abbia mentito l’unanime coro mediatico-politico (che di rifiuto laicista del dialogo continua a parlare), a meno di non ritenere che tale opposizione, presente ancora in tutti i dizionari in uso nelle scuole, sia il frutto avvelenato del già stigmatizzato complotto laicista.

Tutto dunque lasciava prevedere che la giornata si sarebbe svolta così: mentre Benedetto XVI pronunciava il suo monologo nell’aula magna, tra il plauso deferente dei presenti (e in primo luogo del ministro Mussi e del sindaco Veltroni), ad alcune centinaia di metri di distanza alcuni professori di fisica avrebbero tenuto un dibattito sui rapporti tra scienza e fede esprimendo opinioni decisamen-te diverse da quelle del regnante Pontefice, e ad altrettanta debita distanza qualche centinaio di studenti avrebbe innalzato cartelli di protesta e maschere ironiche. Ironia che può piacere o infastidire, esattamente come le vignette contro il profeta Maometto, ma che costituisce irrinunciabile conquista liberale.

Dove sta, in tutto ciò, l’intolleranza? E addirittura la prevaricazione con cui si sarebbe messo al Papa la mordacchia (secondo l’happening inscenato in aula magna dagli studenti di Comunione e liberazione)?

A me sembra che intolleranza – vera e anzi inaudita – sarebbe stato vietare ad un gruppo di docenti di discutere in termini sgraditi ai dogmi di Santa Romana Chiesa, e ad un gruppo di studenti di manifestare pacificamente le loro opinioni, ancorché in forme satiricamente irridenti. Se anzi di tali divieti si fosse solo fatto accenno da parte di qualche autorità, credo che un numero altissimo di cittadini si sarebbe sentito in dovere di rivolgersi a te quale custode della Costituzione, con toni di angosciata preoccupazione per libertà fondamentali messe così platealmente a repentaglio. Ma, per fortuna (della nostra democrazia), nessun ac-cenno del genere è stato fatto.

Il Sommo Pontefice non era di fronte ad alcun impedimento, dunque. Ha scelto di non partecipare perché evidentemente non tollerava che, pur avendo garanzia di poter pronunciare quale ospite unico il suo monologo in aula magna, nel resto della città universitaria fossero consentite voci di dissenso, anziché risuo-nare un plauso unanime.

Non è, questa, una mia malevola interpretazione, visto che sono proprio gli am-bienti vaticani ad aver riferito che il Papa preferiva rinunciare a recarsi in visita presso una “famiglia divisa” (cioè il mondo accademico e studentesco della Universitas studiorum, la cui quintessenza istituzionale è però proprio il pluralismo delle opinioni). Ma pretendere quale conditio sine qua non per la propria partecipazione un plauso unanime non mi sembra indice di propensione al dialogo bensì, piuttosto, di vocazione totalitaria.

Non vedo dunque per quale ragione tu abbia ritenuto indispensabile, a nome di tutta la nazione di cui rappresenti l’unità, porgere al Papa quelle solenni scuse. Che ovviamente, data la tua autorità, hanno fatto il giro del mondo. Se c’è qualcuno che aveva diritto a delle scuse, semmai, è il gruppo di illustri docenti, tutti nomi di riconosciuta statura internazionale nel mondo scientifico, e che tengono alto il prestigio italiano nel mondo, a contrappeso dell’immagine di “mondezza” e politica corrotta ormai prevalente all’estero per quanto riguarda il nostro paese. Questi studiosi sono stati infatti accusati di fatti mai avvenuti, e insolentiti con tutte le ingiurie possibili (“cretini” è stato il termine più gentile usato dai maestri di tolleranza [Cacciari, ndD] che si sono scagliati contro il diritto di critica di questi studiosi).

Né si può passare sotto silenzio il contesto in cui il monologo di Benedetto XVI si sarebbe svolto, contesto caratterizzato da due aggressive campagne scatenate dalle sue gerarchie cattoliche. Trascuriamo pure la prima, cioè i rinnovati e sistematici attacchi al cuore della scienza contemporanea, l’evoluzionismo darwiniano (bollato di “scientificità non provata” da un recente volume ratzingeriano uscito in Germania), benché il rifiuto della scienza non sia cosa irrilevante per chi dovrebbe aprire l’anno accademico della più importante università del paese.

Infinitamente più grave mi sembra la seconda, la qualifica di assassine scagliata dal Papa e dalle sue gerarchie, in un crescendo di veemenza e fanatismo, contro le donne che dolorosamente abbiano scelto di abortire. Questo sì dovrebbe risultare intollerabile. Se un gruppo di scienziati accusasse Papa Ratzinger, o solo an-che il cardinal Ruini, il cardinal Bertone, il cardinal Bagnasco, di essere degli as-sassini, altro che lettere di scuse!

E perché mai, invece, ciascuno di loro può consentirsi di calunniare come assas-sina, nel silenzio complice dei media e delle istituzioni, ogni donna che abbia deciso di utilizzare una legge dello Stato confermata da un referendum popolare?

Se vogliono rivolgersi alle donne del loro gregge ricordando che l’aborto, anche un giorno dopo il concepimento, è un peccato mortale, e che quindi andranno all’inferno, facciano pure, proprio in base a quel “libera Chiesa in libero Stato” che il Risorgimento liberale e moderato di Cavour ci ha lasciato in eredità. Ma diffamare come assassine cittadine italiane che nessun reato hanno commesso è una enormità che non può essere passata sotto silenzio, e non sono certo il solo ad essermi domandato con amarezza perché, in quanto custode dell’unità della nazione e dunque anche delle sue radici risorgimentali, tu non abbia fatto risuonare la protesta dello Stato repubblicano.

La canea di accuse e di menzogne di questi giorni mi ha portato irresistibilmente alla memoria una piccola esperienza di oltre quarant’anni fa, nel 1966, quando – giovane universitario iscritto al Partito comunista da meno di tre anni – vissi incredulo l’esperienza di un congresso (l’XI, se non ricordo male) di un Partito che si vantava di essere sostanzialmente più libero e democratico degli altri (per questo, del resto, vi ero entrato, come milioni di italiani), in cui Pietro Ingrao, per aver moderatissimamente avanzato l’idea di un “diritto al dissenso” fu investito da una esondazione di critiche e vituperi, compresa l’accusa di essere proprio lui un intollerante!

Con una differenza sostanziale e preoccupante: che allora tale capovolgimento della realtà, versione soft ma non indolore dell’incubo orwelliano, riguardava solo un partito. Oggi investe l’intero paese, la sua intera classe politica, la quasi totalità dei suoi mass-media.

Ecco perché spero che tu voglia prestare attenzione anche all’angosciata preoc-cupazione di quei segmenti laici (o laicisti, come preferisce la polemica corrente) del paese, non so se maggioritari o minoritari (ma la democrazia liberale, a cui ci hai più volte richiamato, è garanzia di parola e ascolto anche per il dissenso più sparuto, fino al singolo dissidente), che ormai vengono emarginati o addirittura cancellati dalla televisione, cioè dallo strumento dominante dell’informazione, e il cui diritto alla libertà d’opinione viene di conseguenza vanificato, mentre ogni tesi oscurantista può dilagare e spadroneggiare.
Con stima, con speranza, con affetto, credimi,
tuo Paolo Flores d’Arcais.