Il ministro delle Riforme è intenzionato a reintrodurre l'Ici. "La rimettero" dice spiegando che bisogna passare da un sistema di finanza derivata, in cui è lo Stato a dare i fondi agli enti locali, a una forma di autonomia finanziaria, in cui loro stessi prendono direttamente le tasse. "I cittadini - aggiunge il leader del Carroccio - sono disposti a dare, se le tasse vanno ai loro Comuni, perché vedono i risultati: strade, aiuole".
(La Repubblica)
Bravo Bossi, peccato che tutti gli economisti rossi, giustizialisti, ideologizzati, antiberlusconiani lo hanno urlato ai quattro venti quando lui l'abolizione dell'ICI l'ha votata.
Solo per fare qualche esempio ecco alcuni post che avevo messo qui qualche mese fa.
sabato 16 agosto 2008
Morta l'ICI, viva l'ICI
venerdì 15 agosto 2008
No, tu no
Berlusconi dice: la crisi si fa sentire, è il momento di stringere i denti.
Mara tu no.
(Sabina Guzzanti)
mercoledì 13 agosto 2008
Chiusi per ferie
Frattini non sarà presente al vertice europeo dei Ministri degli Esteri sulla guerra in Georgia per improrogabili e urgentissimi impegni sopravvenuti.
Discese ardite e risalite
Qui un bel post in cui si cerca di convincerci che il prezzo della benzina alla fin fine segue abbastanza fedelmente e senza troppi ritardi sia le salite che (soprattutto) le discese dei prezzi della materia prima.
Fonte: noiseFromAmerika
Piange il telefono
Forse Berlusconi trovava occupato, forse non c'era campo, forse cadeva la linea. Sembra che comunque qualcosa è stato ottenuto.
Bravo Sarkozy!
Russia & Cina
"[La Russia e la Cina] Sono due mondi agli antipodi. La Russia è un Paese-rentier, che vive sulla rendita di posizione delle materie prime ed è incapace di creare un’economia competitiva e di attrarre investimenti esteri. Paradossalmente solo uno choc al ribasso dei prezzi energetici potrebbe salvarla dal declino, innescando un processo di riforma altrimenti impensabile.
[la Cina] E’ anch’essa lontana dalla piena democrazia. Ma ha saputo creare la macchina della crescita. Per fare affari ha un bisogno vitale di mercati aperti e di relazioni pacifiche”.
martedì 12 agosto 2008
Giaculatorie
di Marco Travaglio
Ieri, sul Corriere, Pigi Battista ha fornito un catalogo completo del razzismo sociale applicato alla giustizia, in un memorabile commento dal titolo “E se Del Turco fosse innocente?”. Il prode Pigi lacrima perché Del Turco fu “prelevato dalla sua casa all’alba, come il peggiore dei malfattori”. Frase rivelatrice quant’altre mai del doppiopesismo classista di cui sopra: se non ne ricorrono i presupposti di legge, non si arresta né all’alba né al tramonto, né prima né dopo i pasti; ma, se i presupposti ci sono, allora l’orario e le modalità dell’arresto sono del tutto secondari rispetto ai fatti che l’hanno originato. Invece, per tutti i Battista d’Italia, i “signori” - se proprio si vuole arrestarli - meritano le manette di prima classe, quelle di velluto, possibilmente precedute da una telefonata di cortesia. Infatti Pigi chiede addirittura un risarcimento per Del Turco, scarcerato - a suo dire - “con 48 ore di ritardo causa introvabilità del gip”, rientrato ieri dalle ferie per esaminare l’ok dato sabato dalla Procura ai domiciliari. In realtà non c’è stato alcun ritardo, visto che il gip aveva 5 giorni di tempo per rispondere ai pm e ne ha impiegati solo 2.
Seguono le solite giaculatorie sulla “presunzione di innocenza”, che non c’entra nulla: la custodia cautelare riguarda sempre i “presunti non colpevoli”, altrimenti non sarebbe cautelare, ma definitiva. In carcere ci sono 30 mila persone nelle condizioni di Del Turco, ma naturalmente Battista si muove solo per Del Turco. E lo paragona addirittura a Enzo Tortora sol perché non s’è ancora scoperto “dove sono andati a finire i proventi” delle presunte mazzette. Ci sarebbe pure la possibilità, sostenuta dai pm, che i soldi siano finiti in alcuni immobili e/o in qualche conto cifrato nei paradisi fiscali. Ma lo Sherlock Holmes di Via Solferino non sente ragioni: se uno - puta caso - nasconde bene la refurtiva, vuol dire che è innocente. Attendiamo con ansia un editoriale dal titolo rovesciato: “E se Del Turco fosse colpevole?”. Cioè se fosse come Craxi, come Contrada, come Mambro e Fioravanti, per citare solo alcuni dei condannati definitivi che Battista e il Corriere continuano a trattare da innocenti. Come pure i 18 pregiudicati, da Dell’Utri in giù, che popolano il Parlamento. Ecco: se Del Turco fosse colpevole, sarebbe innocente lo stesso.
(L'Unità)
Buone notizie (?)
"UNA DISTESA di pannelli solari sottili come specchi distribuiti a tappeto nel deserto del Sahara. Una ragnatela di cavi ad alto voltaggio che parte dal Nord Africa e si dirama fino al Nord Europa. Potrebbe essere questa la soluzione per i più drammatici problemi che il mondo moderno si trova a combattere: la scarsità di energia e l'inquinamento atmosferico. Se diverrà realtà quello che gli scienziati si sono raccontati nei giorni scorsi all'Euroscience Open Forum di Barcellona, non c'è più da avere alcuna preoccupazione per il futuro.
Almeno della nostra vecchia Europa. Basterà carpire i raggi che infiammano il deserto, quello più grande del mondo che abbiamo proprio qui sotto casa, e trasferirli. I pannelli solari disseminati nel Sahara potrebbero infatti portare direttamente a casa nostra tutta l'energia di cui abbiamo bisogno. Energia pulita e rinnovabile. Dunque praticamente infinita e non inquinante. A un costo mediamente di 15 centesimi al kilowatt più basso di oggi."
continua qui
Operazione nostalgia
Quanto ne ho parlato male in gioventù di questi due e di un altro ormai trapassato.
Ancora non sapevo che il (molto) peggio era di là da venire.
Ridatemi il CAF!
Sindrome di Accerchiamento
di Franco Venturini
Quando una guerra è nell’interesse dei potenziali contendenti, prima o poi scoppia. Da sei giorni, mentre sul terreno le ostilità continuano, russi e georgiani fanno a gara nel mostrarsi sorpresi dagli eventi e nell’attribuire ogni colpa alla parte avversa. Ma il loro è un tragico imbroglio. Da mesi i rapporti tra Mosca e Tbilisi erano arrivati al calor bianco. Da mesi si incrociavano provocazioni reciproche. Perché da mesi Georgia e Russia preparavano, nemmeno tanto in segreto, le loro opposte strategie: Mikhail Saakashvili voleva dimostrare che la piccola e democratica Georgia aveva bisogno di entrare nella Nato per non essere alla mercé del potente vicino, e sullo slancio sperava di recuperare il controllo dell’Ossezia del Sud; la Russia del tandem Putin-Medvedev inseguiva la prova contraria, intendeva sottolineare come la Georgia delle teste calde non potesse far parte dell’Alleanza e per ogni buon conto era pronta a far intendere a tutti il linguaggio dei suoi carri armati.
Nella notte del tripudio olimpico, quando Saakashvili ha lanciato la sua temeraria scommessa militare contro la capitale osseta, Mosca ha ricevuto in dono l’occasione che aspettava. E ha reagito come reagiscono sempre i generali russi, con un uso sproporzionato della forza. Ha ricacciato indietro i georgiani che già invocavano l’aiuto dell’Occidente, ha portato la sua offensiva anche fuori dal territorio dell’Ossezia meridionale, ha preparato alla guerra anche i separatisti dell’Abkhazia. E soprattutto, il Cremlino si è tacitamente rivolto alla Casa Bianca e alla Nato: davvero volete far entrare questa Georgia nella vostra Alleanza? Davvero volete mettervi in casa uno stato di guerra e di tensione permanente? Sappiate comunque che qui la forza l’abbiamo noi, e che la Georgia non riavrà né l’Ossezia del Sud né l’Abkhazia.
Il boomerang di Saakashvili, incoraggiato e atteso, consente così alla Russia di inserire la questione georgiana in un contenzioso con l’America che non ha cessato di aggravarsi: Kiev e Tbilisi hanno comunque ricevuto la promessa di entrare un giorno nella Nato, non è mutata la volontà di installare sistemi antibalistici in Polonia e nella Repubblica Ceca, nel Caucaso le rivalità erano già molto accese prima che la parola passasse al cannone, e ben presto la lite geopolitica tra Usa e Russia si estenderà al controllo dell’Antartide e dei suoi giacimenti energetici. «Ci state accerchiando», si lamentano a Mosca, e senza questa psicosi secolare (così come senza il desiderio di ristabilire qualche controllo sul petrolio che viene dal Caspio) non si capirebbe la durezza e l’ampiezza della reazione russa. Come reagirà l’Occidente a una sfida tanto calcolata? E’ improbabile che voglia «morire per Tbilisi».
Beninteso è giusto condannare gli eccessi russi, come è sacrosanto reclamare il rispetto della sovranità e dell'integrità territoriale georgiane. Ma il richiamo ai principi risulterebbe più efficace se l'Occidente non avesse nell'armadio lo scheletro ancora fresco dell'indipendenza unilaterale del Kosovo. E di un dialogo minimo con la Russia gli Usa hanno bisogno per altre crisi più importanti, a cominciare dall'Iran. Mentre l'Europa, subito impegnata in un tentativo di mediazione, si trova in acque ancora peggiori: ha in corso un negoziato globale con Mosca dalla quale dipende per gran parte dei suoi approvvigionamenti energetici, non vede di buon occhio un ingresso sollecito della Georgia e dell’Ucraina nella Nato (al vertice di Bucarest furono Sarkozy e la Merkel a frenare Bush) ma sa che presto o tardi il nodo arriverà al pettine, e soprattutto è divisa al suo interno sulla politica da seguire nei confronti del Cremlino. Con gli ex satelliti dell’Urss che spingono per la linea dura.
Alla determinazione di Mosca, insomma, si contrappone un Occidente debole che ha almeno tre diverse concezioni del rapporto con la Russia: quello americano del roll-back (in attesa delle scelte del nuovo Presidente), quello timoroso dei «vecchi» europei, e quello tutto memoria degli europei che militarono nel Patto di Varsavia. Ha ragione Barbara Spinelli quando scrive che l’Unione Europea non ha saputo esportare la sua cultura fondante dove prima regnava il comunismo sovietico, e ha ragione Dario Di Vico a paventare una rassegnazione europea al pensiero debole. Ma la crisi occidentale del dopo guerra fredda risiede proprio in questa afasia ideale che fa tornare sugli altari la balance of power dei tempi andati, favorendo il brutale pragmatismo di potenze risorgenti come la Russia non meno dell’unilateralismo americano. L’Europa, rappresentata da Sarkozy, ha almeno il merito di non essersi tirata indietro. Un cessate il fuoco sarebbe un ottimo risultato per le sue fatiche diplomatiche. Ma quel che accadrà nei tempi più lunghi, almeno in Ossezia del Sud e in Abkhazia, sarà la Russia impaurita e aggressiva a deciderlo.
Alitalia
Faremo un altro miracolo offrendo all’Italia una redditizia compagnia aerea nazionale'. Questo è quanto promesso da Silvio Berlusconi, Primo Ministro italiano, questa settimana quando il suo governo ha posticipato l’annuncio di un piano, atteso da tempo, per salvare Alitalia, la compagnia aerea di bandiera in passivo. Il "miracolo" doveva essere pianificato in una riunione l’8 agosto ed annunciato subito dopo, ma adesso rimarrà un segreto fino a settembre. La motivazione ufficiale è evitare di sconvolgere le vacanze estive con scioperi e voli cancellati. Tuttavia, molte persone credono che il piano sia stato posticipato perché problematico e, in alcuni punti, incompleto.
Alitalia si trova in condizioni così difficili che solo un prestito statale di 300 milioni di euro le ha permesso di continuare a volare. A marzo Air France-KLM aveva fatto un’offerta, ritirata in seguito per l’impossibilità di raggiungere un’intesa con i sindacati - e dopo l’affermazione di Berlusconi, in piena campagna elettorale, secondo cui vendere la compagnia di bandiera italiana ad una rivale francese sarebbe stato inaccettabile.
Intesa Sanpaolo, la banca a cui è stato dato il compito di trovare nuovi investitori italiani per Alitalia, ha immediatamente capito che non c’erano possibilità di trovare qualcuno disposto a finanziare la compagnia aerea allo stato attuale. “Era un sogno” dice una persona vicina alla linea di pensiero della banca. In compenso, è stato varato un piano per dividere Alitalia in due parti.
La prima sarà una nuova compagnia privata, senza debiti ed un fresco capitale di 1 miliardo di euro versato da una dozzina circa di industriali italiani, compresi Gilberto Benetton, Luigi Aponte e la famiglia Marcegaglia. La nuova compagnia assumerebbe il controllo delle risorse migliori di Alitalia e di alcuni di Air One, una compagnia aerea italiana minore e con una flotta del tutto nuova. Se tutto andrà secondo i piani, la nuova compagnia inizierà a fare utili dal 2009 e verrà quotata in borsa nel 2010.
I nuovi investitori, ovviamente, non vogliono avere nulla a che fare con il disastroso passato di Alitalia. Così il governo continuerà ad avere la proprietà della “vecchia” compagnia (possiede già il 49.9% di Alitalia), conservando il suo debito di 1.1 miliardi di euro e le risorse superflue. Tre quarti dei 20000 lavoratori di Alitalia verrebbero reimpiegati dalla nuova compagnia mentre il resto continuerebbe a lavorare per la vecchia. “La nuova, appetitosa compagnia andrebbe venduta mentre la vecchia compagnia sarebbe semplicemente una voce nel passivo delle finanze pubbliche” conclude Enrico Letta, un politico dell’opposizione.
Non è chiaro se Giulio Tremonti, Ministro del Tesoro, accetterà una tale divisione. Avendo appena ricevuto la fiducia dal Parlamento per un taglio alle spese di 30 miliardi di euro, è probabile che non permetterà che il passivo di Alitalia venga scaricato sulle finanze pubbliche. E’ molto probabile che si opporrà anche la Commissione Europea, che sta già indagando sul prestito ad Alitalia poichè ritenuto un aiuto di stato illegale. La Grecia ha tentato una divisione molto simile con la sua compagnia di bandiera in passivo nel 2003, dichiara Rigas Doganis, un commentatore esperto del settore aeronautico. Brussels ha ritenuto che la divisione fosse in realtà un espediente per mascherare continui aiuti statali.
Gli osservatori inoltre si chiedono quanto siano convinti gli investitori italiani. Una condizione del piano di Intesa Sanpaolo prevede l’ingresso di una compagnia aerea straniera come partner per la nuova Alitalia e Benetton ha recentemente dichiarato che una tale partnership sarebbe vitale per la riuscita del progetto. Lufthansa, seconda compagnia in Europa, è il candidato più probabile, ma non ha ancora confermato il suo interesse.
Se il governo riuscirà a trovare nuovi investitori per Alitalia, dovrà in seguito decidere come effettuare la divisione dell’azienda. La legge prevede che Alitalia dovrebbe essere sottoposta ad una procedura simile a quella fallimentare in modo da poter essere divisa in due e mantenere i debiti solo da una parte, dice Edoardo Staunovo Polacco, un avvocato specializzato in diritto fallimentare. Il governo vuole rivedere la legge per accelerare le procedure, ma fino ad ora ha negato la possibilità del fallimento per Alitalia.
Dopo la sua elezione, Berlusconi si è mostrato disponibile verso Air France-KLM, ma era troppo tardi. All’interno del suo partito, molti staranno rimpiangendo amaramente l’opportunità persa - la compagnia francese, dopo tutto, avrebbe rilevato Alitalia con debiti e tutto. Essi staranno sperando in un ritorno di Air France-KLM al tavolo delle trattative oppure in una proposta da parte di Lufthansa. Questo sarebbe il vero miracolo.lunedì 11 agosto 2008
Cercare Grazia e trovare Giustizia
Basterebbe un pò di carità, perfino cristiana.
ps.
Notato che nelle notizie i transessuali spesso non hanno nemmeno un nome?
ROMA — «Non c'è dubbio che ci sia un clima teso, in cui aumentano le discriminazioni nei confronti dei transessuali. Una criminalizzazione che si vede già dai titoli della notizia, con il riferimento esplicito alle tendenze sessuali». Antonella Casu, segretaria dei Radicali italiani, lancia l'allarme subito dopo l'arresto del transessuale brasiliano clandestino che ieri ha chiesto aiuto ai carabinieri, mentre un uomo tentava di sfondargli la porta per ottenere prestazioni gratuite, finendo in manette.
Soltanto pochi giorni fa a Milano, ricorda, è stato violentato e ucciso un altro transessuale. «Che cosa avrebbe dovuto fare per salvarsi, farsi uccidere forse, così tutti si sarebbero disperati (a parole) per l'ennesimo episodio di violenza e di emarginazione?» ha appena scritto la Casu in una nota di protesta firmata assieme a Sergio Rovasio, segretario di Associazione Certi Diritti, nella quale stigmatizza il «lo strano comportamento delle forze dell'ordine». «Nel momento in cui questa persona chiede aiuto ci vorrebbe un po' di ragionevolezza» fa notare.
(Il Corriere della Sera )
domenica 10 agosto 2008
L’oleodotto Btc e la Russia
di Anna Zafesova
Le bombe russe che piovono sulla Georgia in queste ore minacciano di distruggere non solo il fragile equilibrio geopolitico sulle rovine dell’ex’Urss, ma di sconvolgere anche quel nuovo Grande Gioco energetico che ormai da anni viene condotto nel Caucaso e in Asia. Ieri i caccia bombardieri russi avrebbero colpito l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (Btc), mancandolo.
La notizia è stata data ieri dal primo ministro georgiano Lado Gurgenidze, ma il condizionale per ora resta d’obbligo, considerata la scarsissima attendibilità delle contraddittorie informazioni che giungono dal Caucaso. Ma che si si fosse trattato di un attacco deliberato alle infrastrutture del Btc, di un bombardamento «casuale» o addirittura di un falso allarme, resta il fatto che a rischio, in queste ore, c’è anche la partita energetica globale, nella quale la Georgia non era solo una pedina.
Completamente sprovvista di risorse energetiche proprie, tanto da rimanere per anni al buio e al freddo a causa del razionamento, la repubblica caucasica però è in una posizione geografica che la rende strategica: un lembo di terra tra il mar Caspio e il mar Nero, l’unico transito possibile per il petrolio asiatico verso l’Europa che non passi dalla Russia, unica falla in quello che altrimenti Mosca - tra produzione propria e «gestione» logistica delle risorse altrui - potrebbe considerare un monopolio sulle risorse.
E proprio in questo «corridoio», nonostante l’opposizione della Russia, si è infilato il Btc, inaugurato dopo mille polemiche due anni fa, e gestito da un consorzio internazionale dove il socio leader e la British Petroleum, e tra gli altri ci sono la Total, la ConocoPhilips e l’Eni (con il 5%), ma nemmeno un russo. Lungo oltre 1.770 chilometri, ha capacità di un milione di barili al giorno, circa l’1% della produzione mondiale: un’arteria chiave per pompare petrolio azero verso la Turchia e il Mediterraneo.
E anche una via di fuga potenziale per gli altri partner di Mosca, come il Kazakhstan che oggi pompa il suo greggio attraverso le varie pipeline russe, più a nord, ma che non esclude di potersi affrancare dal monopolio del Cremlino, insieme ad altri protagonisti di un’area che contiene le maggiori riserve petrolifere dopo il Golfo Persico e la Russia.
Si capisce perché il Btc, ancora nella fase progettuale, apparve nel film di 007 «Il mondo non basta», nel quale una cattivissima e affascinante Sophie Marceau complottava per ottenere il potere assoluto attraverso il suo oleodotto. Le alternative russe, come il Baku-Novorossijsk che disgraziatamente passava in territorio ceceno - e a Mosca, negli anni ‘90 come adesso resta popolare la teoria che il separatismo di Grozny venne fomentato da «forze esterne» (leggi gli americani) che tifavano per il Btc - o l’oleodotto del Caspio (Ktk) che trasporta il greggio dalla kazaka Tenghiz attraverso i territori più a nord, che offrono una maggiore sicurezza essendo etnicamente russi, non hanno potuto battere la concorrenza.
L’oleodotto georgiano, infatti, ha il grande pregio di sfociare non nel mar Nero, bacino chiuso dal quale poi il petrolio deve uscire principalmente via nave, attraverso il Bosforo, ma nel porto turco di Ceyhan, sul Mediterraneo, a due passi dai consumatori finali europei. Non è un caso che il ministro georgiano per l’Economia, Ekaterina Sharashidze, ha voluto ieri attirare l’attenzione del mondo ricordando che con le sue bombe la Russia «ha preso di mira anche obiettivi di proprietà internazionale».
Un grande gioco al quale partecipano un po’ tutti, inclusi anche i separatisti curdi del Pkk che qualche giorni fa avevano già bloccato l’oleodotto Btc nella sua parte turca, facendolo esplodere. Considerato l’enorme rischio politico di quella regione incandescente, per la maggior parte del tragitto le tubature erano state interrate, anche a costo di aumentare le spese. Ma ora che sopra i 249 chilometri della pipeline - che in alcuni punti si avvicina al territorio dell’Ossezia del Sud di soli 55 km - volano caccia bombardieri, una bomba, caduta più o meno «per caso», potrebbe esplodere nelle borse petrolifere di mezzo mondo.
(La Stampa)
L'italia delle barzellette
Il rispetto prima di esigerlo bisogna guadagnarselo. Ecco i risultati.
NEW YORK – Italia che conta poco, Italia da barzelletta. E’ questa l’immagine che milioni di americani hanno ricevuto venerdì sera nel guardare la cerimonia d'apertura dei Giochi di Pechino, trasmessa durante il prime time, - con una differita di ben 12 ore - dalla NBC. Che ha sborsato 894 milioni di dollari per ottenere i diritti in esclusiva per gli Stati Uniti. Quando, verso la fine dello show, i riflettori sono toccati all’Italia, il tono dei due presentatori Bob Costas e Matt Lauer è passato dal serio al faceto. «Il primo ministro italiano Silvio Berlusconi ha rinunciato ad essere qui stasera insieme agli oltre 80 capi di stato», hanno spiegato ridacchiando i due mezzibusti della NBC, «Perché a Pechino fa caldo. Troppo caldo per lui». Dopo aver ironizzato sull’immensa fortuna di Berlusconi («il più ricco magnate italiano dei media che è anche primo ministro del Paese»), e sulla sua età («a 72 anni è troppo anziano per un viaggio del genere»), i due presentatori hanno concluso spiegando ai telespettatori che «se sei ricco e potente come lui, puoi permetterti di startene a casa a guardare la cerimonia. Comodamente seduto davanti alla tv»
(Il Corriere della Sera)
Amici litigiosi
La Casa Bianca "deplora le azioni, pericolose e sproporzionate, della Russia in Georgia". Un'ulteriore escalation potrebbe avere "un impatto significativo nelle relazioni a lungo termine tra Stati Uniti e Russia".
(La Repubblica)
Attendiamo di sapere se per Berlusconi è più amico Putin oppure Bush.
Dove ci sono guai il Nostro svicola.