lunedì 10 marzo 2008

Se il Primo Ministro governa


di Sergio Romano

Il primo segnale che giunge da Madrid, al di là della vittoria socialista, è la grande somiglianza delle elezioni europee. I protagonisti e i temi principali sono quasi ovunque gli stessi. Esistono due grandi partiti a «vocazione maggioritaria» che aspirano alla guida del Paese e, in molti casi, piccoli partiti che finiscono troppo spesso per avere un’importanza superiore alle loro dimensioni. Il confronto avviene sulle questioni che agitano tutte le società nazionali del continente: crescita dell’economia, riduzione delle imposte, infrastrutture, potere delle regioni, sicurezza, criminalità, immigrazione, la famiglia moderna e i nuovi diritti umani che ne stanno modificando i caratteri, la credibilità della classe politica e la sua capacità di affrontare problemi che dipendono in buona misura da fattori esterni, europei o mondiali.

Ma le differenze, soprattutto per un osservatore italiano, non sono meno importanti delle somiglianze. L’economia spagnola rallenta, come in Italia, e dipende troppo da un fattore, l’edilizia, che non gode generalmente di buona salute. Ma la crescita, alla fine dell’anno, sarà pur sempre pari al 2 per cento del prodotto interno lordo contro lo 0,5 per cento in Italia. La Spagna ha bisogno di grandi infrastrutture, ma l’aeroporto madrileno di Barajas, la Tav che attraversa l’intero Paese da Siviglia a Barcellona e il colossale progetto per l’utilizzazione del «potere solare concentrato» sono dimostrazioni di coraggio e dinamismo: due virtù assenti nel panorama politico italiano. L’integrazione delle comunità immigrate suscita preoccupazioni ed è stata materia di scontri elettorali, ma gli stranieri in Spagna sono ormai il 10 per cento (più del doppio della percentuale italiana) e le difficoltà sono in buona parte compensate dal contributo che i nuovi arrivati hanno dato allo sviluppo dell’economia nazionale. Le leggi sulla famiglia e sull’educazione religiosa hanno provocato forti tensioni nella società spagnola e dure reazioni dell’episcopato, ma hanno dimostrato che il rapporto fra lo Stato e la Chiesa, nella cattolicissima Spagna, è più dignitosamente paritario di quanto non sia in Italia.

I socialisti hanno vinto e il prossimo governo potrebbe forse evitare l’alleanza con scomodi partiti regionali. Zapatero è stato afflitto, alla fine del suo mandato, da alcuni dati negativi (disoccupazione, inflazione, debito delle partite correnti) e da alcune imprudenze.

Queste imprudenze sono l’accordo abortito con l’Eta, il nuovo statuto catalano (troppo generoso per il cuore castigliano del Paese, insufficiente per gli autonomisti più radicali e contestabile per i costituzionalisti), le inutili leggi sul passato franchista, lo stile frettoloso e spavaldo con cui ha affrontato il problema dell’immigrazione e dei nuovi diritti di libertà. Ma la vittoria dimostra che il risultato complessivo è parso alla maggioranza degli spagnoli non inferiore a quello realizzato dai governi di Felipe Gonzales e José Maria Aznár. Accanto alle molte differenze vi è fra i tre leader un aspetto comune: hanno lavorato alla modernizzazione della Spagna e sono riusciti a farla salire di parecchi scalini nella graduatoria delle nazioni. Certo, tutti i governi spagnoli degli ultimi due decenni sono stati aiutati dalla volontà collettiva di una società che voleva uscire da un secolare letargo e lasciarsi alle spalle per quanto possibile il passato della guerra civile. Ma il fattore che ha maggiormente contribuito al dinamismo spagnolo è una costituzione moderna, un buon sistema politico, un premier che viene eletto per governare, non per negoziare con amici-nemici da cui è continuamente ricattato. Non sono certo che la Spagna abbia superato l’Italia sul piano economico. Ma sul piano civile l’ha brillantemente scavalcata.

(Il Corriere della Sera)

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