Egregio Direttore,
vorrei raccontarmi che anche ‘stavolta voterò questo centrodestra, ma non ci riesco. Vorrei soprattutto eludere quello che ieri mattina mi diceva un importante direttore di giornale: «Le liste del Pdl non sono brutte, fanno proprio vomitare».
Vorrei non aver ascoltato anche quanto mi diceva, l’altro ieri mattina a Omnibus, il professor Alessandro Campi: «Oggi i parlamentari hanno una funzione tecnica che nella maggior parte dei casi è spingere un bottone. Io, una personalità che sia veramente tale, veramente indipendente, non ce la manderei in Parlamento. In questo Parlamento servono persone fedeli, capaci di star sedute anche per 15 ore».
E io gli avevo risposto così: «Ma allora di questo passo arriveremo a selezioni tipo casting, come per la Tv». Scherzavo.
Ma nel pomeriggio eccoti la telefonata di un ex parlamentare di Forza Italia: «Guarda che i casting li hanno già fatti. Adesso non so, ma nel 1994, per le politiche e le europee, tu mandavi il curriculum e loro ti facevano la prova video. Ma poi: non l’hai vista l’Unità di oggi?».
No, non avevo ancora letto che «Il Pd fa casting ad aspiranti collaboratori» e che in centinaia avevano risposto, tra questi una famosa attrice e la solita Marianna Madia. Mi ero limitato a chiedermi, sempre a Omnibus, se la ventura Camera dei rappresentanti avrebbe potuto dirsi rappresentativa; se il Parlamento alla fine debba essere il famoso specchio del Paese oppure la sua eccellenza; se davvero, a contare, ormai, sia solo un’oligarchia di cinquanta politici in contrapposizione a centinaia di spingitori di bottoni. Tutti quesiti retorici, perché pare assodato che la nostra politica sia ormai americanizzata e che il candidato ideale sarà sempre più la risultanza di un piano di marketing: un perfetto esponente di quella che un tempo chiamavamo «società civile» e che oggi pare solo una separatezza borghese dalla politica.
Mi piacerebbe, dunque, negare che parte delle candidature del Pdl facciano espressamente schifo e che siano solamente plastilina nelle mani del capi-listone. Ma non ci riesco.
Nessuno, per definizione, è indegno di entrare in Parlamento: ma quando vedi certi esclusi ti prudono le mani.
Militari contro militari, imprenditori contro imprenditori, sindacalisti contro sindacalisti, handicappati contro handicappati, e portavoce, parenti, segretarie, scienziati contro scienziati: va bene tutto.
Ma ditemi perché dev’esserci la moglie di Emilio Fede e non Daniele Capezzone, cui Berlusconi di ripiego ha offerto di fare il suo portavoce. Ditemi perché dev’esserci la chirurga di Berlusconi e la fisioterapista di Berlusconi quando di converso hanno spazzato e non sostituito praticamente tutti i liberali (da Alfredo Biondi a Egidio Sterpa a Lino Jannuzzi ) per infilare oltretutto anche il tassista Loreno Bittarelli, capopolo della cricca corporativa più illiberale d’Occidente.
Non hanno candidato Paolo Cirino Pomicino, ma abbiamo la giornalista del Tg4 Gabriella Giammanco, e Gabriella Carlucci, Elisabetta Gardini, l’avvocatessa Nunzia Di Girolamo già indicata come «la nuova Mara Carfagna» come se ci fossimo già abituati alla vecchia. Chissà che hanno pensato Elio Vito e Antonio Martusciello nel vedersi esclusi a vantaggio della nota conduttrice Elisa Alloro: questo mentre Maurizio Gasparri aveva il fegato di spiegare che le sciampiste stanno tutte a sinistra, dove pure abbondano segretarie e portavoce che di politica capiscono poco ma di accondiscendenza già di più. In compenso nel Pd non c’è l’islamista moderato Khaled Foud Allam, e non c’è neppure Nando Dalla Chiesa: ma c’è Massimo Calearo, che sino a due settimane fa aveva la suoneria del cellulare (sul serio) con l’inno di Forza Italia.
Ma è la destra che traccia il solco, benchè sempre più destra: il baricentro giocoforza si è spostato verso l’ex Alleanza nazionale e sconta la necessità di non cedere terreno alla neo forza di Francesco Storace, mentre sempre verso destra soffia ormai il vento (il refolo) dei Pro Life di Giuliano Ferrara.
L’esito più sostanziale e sottaciuto, nelle liste del Pdl, è stato un’autentica caccia al laico: inteso come chiunque avesse un passato liberale, socialista e non propriamente devoto. «I clericali hanno fatto una vera mattanza soprattutto in Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Umbria» mi raccontava ieri un neo candidato ben piazzato nella lista della Campania. Esempi? Tanti, ma spicca più di tutti il caso del lombardo Dario Rivolta. E così a destra avanza la deriva vandeiana e la rincorsa al rassicurante benestare della Chiesa.
Addio, ex partito liberale di massa. Eppure «Non c’è giornale o forza politica disposta a raccontare che la Chiesa, in Italia, non sposta un solo voto» mi raccontava lunedì mattina Nando Pagnoncelli.
Che poi non è neanche vero: il mio voto l’ha quasi spostato.
( Il Riformista - 12 marzo 2008)
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