di Mario Tozzi
Sembra vicino il momento in cui per assicurarsi un barile di petrolio ci vorranno 150 dollari e molti economisti vedono non più irraggiungibile la cifra di 200 dollari che, solo qualche anno fa, nessuno avrebbe mai neppure potuto ipotizzare. In pratica ci stiamo apprestando a pagare il petrolio un dollaro e più al litro, cosa che si tradurrà in cifre impensabili anche per i carburanti. Eppure nessuno fra gli stessi economisti sembra seriamente preoccupato, anzi tutti ritengono che si tratti di una contingenza che potrebbe essere facilmente superata, magari con la buona volontà dei Paesi produttori, che prima o poi incrementeranno l’estrazione e ci porteranno fuori dal guado. In realtà, se osserviamo le cose da un punto di vista fisico, pare sempre più evidente che da quel guado rischiamo di non uscire più. Semplicemente perché non è sicuro che quei Paesi potrebbero incrementare la produzione, che invece sembra destinata a un inesorabile declino.
Solo negli Anni 70 il greggio è costato quanto e più di adesso: erano i tempi dell’embargo petrolifero e delle domeniche a piedi a causa della chiusura dei rubinetti arabi. Si trattava di picchi contingenti che furono superati politicamente negli stessi anni in cui venivano scoperti gli ultimi giacimenti di petrolio di dimensioni veramente ragguardevoli. Da quel momento in poi, al mondo di campi petroliferi se ne sono scoperti molto pochi, nonostante la caduta del Muro di Berlino che ha permesso un’esplorazione più estensiva nei Paesi ex sovietici, favoleggiati come ricchissimi di greggio ma, nei fatti, incredibilmente poveri. Ogni tanto giunge voce di eccezionali scoperte in Brasile o si spera di riaprire le prospezioni in Antartide (dove il petrolio magari c’è, ma fortunatamente non si può estrarre a causa di una convenzione internazionale che difende la wilderness di quelle aree destinate alla sola ricerca e conservazione) o si conta sulla tecnologia per scavare petrolio dal fondo del mare, a profondità che, per adesso, pongono insormontabili problemi ambientali.
Oltretutto, neppure si può oggi contare su quegli idrocarburi cosiddetti non convenzionali (come gli scisti bituminosi), che pure esistono, ma la cui estrazione, in Canada, sta richiedendo più energia di quella che poi se ne può ricavare dallo sfruttamento (immaginate di dover ricavare combustibile dal catrame raggrumato in una spiaggia «lavando» la sabbia stessa con acqua bollente e solventi chimici!), con un rischio ambientale talmente elevato da costringere le compagnie a ripiantumare intere foreste per mitigarlo.
Perciò non si trova più petrolio a buon mercato, quello convenzionale, i cui costi di sfruttamento sono compatibili con le attuali economie di mercato. In sostanza, un conto è il petrolio facile, quello sfruttato fino a oggi che ha permesso guadagni immensi e ha comportato tutto sommato problemi tecnologici di scarso rilievo e costi contenuti, un altro conto è il petrolio teoricamente disponibile sulla Terra, che difficilmente può essere messo nel conto complessivo delle riserve. E, nel frattempo, i giacimenti già esistenti sono sfruttati al ritmo assurdo di 75 milioni di barili al giorno: se prevediamo che rimangano più o meno mille miliardi di barili, siamo incredibilmente vicini a quel tip-point di metà delle riserve sfruttate (picco del petrolio) che, per leggi naturali ineluttabili, corrisponde al momento in cui ogni altro barile di greggio costerà di più e sarà più difficile da estrarre. Quindi, se ai consumi forsennati non possiamo sopperire con altre scoperte, non ci vuole un genio per capire che il petrolio convenzionale sta per finire ora - non fra 30-40 anni -, molto probabilmente entro il 2011.
Se però le cose stanno così, come si fa a sperare che l’aumento dei prezzi al barile sia solo frutto di un momento contingente? Come si fa a non prendere nessuna contromisura e a sperare in un ribasso che, se ci sarà, potrà essere solo temporaneo? A pensarci bene, però, continuiamo a farci la domanda sbagliata: non è importante quando finirà il petrolio, ma per quanto tempo ancora saremo disposti a sopportare di pagare un prezzo ambientale così alto per bruciare idrocarburi. Dovremmo rispondere: neanche per un altro minuto, ma nessuno sembra voler veramente ragionare sul fatto che la società basata sui combustibili fossili è al suo passo d’addio sulla scena del pianeta.
(La Stampa)
Le foglie morte non sono
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Le foglie, che morte non sono,
irradiano in cielo la luce,
filtrata dai rami che, nudi, vestirono.
E mi sembra, camminando,
che pestarle sia peccato
ché ...
1 mese fa
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