di Eugenio Scalfari
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Francesco Giavazzi ha scritto sul Corriere della Sera di mercoledì un articolo sull'Alitalia nello stesso giorno in cui anch'io mi cimentavo con quell'argomento. La coincidenza e l'ispirazione sostanzialmente comune mi ha fatto piacere se non altro perché sarebbe difficile accusare Giavazzi, come pure Deaglio e Boeri, di bolscevismo e di radicalismo scicchettone.
Su un punto tuttavia le mie opinioni non coincidono con quelle di Giavazzi. Egli teme che la cordata di Colaninno si sia imbarcata in un'iniziativa troppo rischiosa. Io penso invece, come Deaglio e Boeri, che quei sedici "capitani coraggiosi" abbiano giocato sul velluto avendo ricevuto la staffetta nelle migliori delle condizioni possibili da un governo che sarà comunque (e forse per alcuni di loro è già stato) concretamente riconoscente.
Basta scorrere il decreto legge uscito dal Consiglio dei ministri di giovedì: divisione della vecchia Alitalia in due società, una "cattiva" con tutte le passività in testa allo Stato, l'altra libera come un uccello in volo e affidata ai privati; sospesi i poteri dell'Antitrust per sei mesi al fine di render possibile la concentrazione Alitalia-AirOne e instaurare il monopolio della tratta Linate-Fiumicino; salvaguardare la nuova Alitalia da ogni rivalsa dei creditori e dei dipendenti; consentirle di acquistare da una società fallita tutta la polpa (aerei, slot, diritti di volo, personale dipendente necessario); aprire un negoziato con i sindacati per portarli, già domati, a stipulare contratti nuovi col nuovo vettore.
Un caso tipico di socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti, che sarà probabilmente esteso anche ad Air France o a Lufthansa se entreranno per una quota nell'Alitalia nascente.
Chi voglia confrontare l'accordo offerto dai francesi nel marzo scorso vedrà che le differenze sono macroscopiche. Allora non si parlava né di fallimento né di legge Marzano né di divisione in due società, ma dell'acquisto di Alitalia in blocco con i suoi debiti, i suoi dipendenti, la sua flotta. I francesi avrebbero anche pagato allo Stato un prezzo per le azioni e lanciato un'Opa per gli azionisti di minoranza. Avrebbero stanziato 2,600 miliardi per il primo rilancio e incluso Alitalia nel "network" Air France-Klm.
Berlusconi (ma anche Colaninno) hanno definito quell'operazione una svendita. Ma l'operazione attuale come si può definire? Tutti gli oneri allo Stato, tutta la polpa ai privati, Air France compresa se entrerà come azionista. Io direi che un'operazione così si definisce politica di immagine e imbroglio economico.
Sergio Romano, sul Corriere della Sera di ieri ha scritto che l'opposizione dovrebbe collaborare. Non riesco a capire per molti ed egregi opinionisti il ruolo dell'opposizione. Deve collaborare sulla sicurezza, sul federalismo, sulla giustizia, sulla legge elettorale, sulle riforme costituzionali, sulla scuola, sulla sanità. Ed anche su questo pasticcio dell'Alitalia.
Quello che non capisco è dove si può fare opposizione. Sulle fontanelle di quartiere, sindaci di destra permettendolo? Sarebbe interessante saperlo. In realtà si vorrebbe un'opposizione al guinzaglio, un'opposizione addomesticata. Non mi pare sia questo il suo ruolo in una democrazia liberal-democratica. Gli Usa insegnano.
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Il resto dell'articolo di Scalfari qui.
E ancora sull'argomento:
di Carlo Scarpa
L'affermazione secondo la quale l'operazione non peserebbe sul denaro pubblico è una menzogna così palese da risultare ingenua, ma anche assai fastidiosa.
I conti li faremo alla fine, ma già ora pare chiaro che i 300 milioni del prestito ponte non saranno mai rimborsati. Poi, i cosiddetti "ammortizzatori" per chi perderà il posto di lavoro; il decreto del Governo prevede un onere di 30 milioni annui per sette anni (ovvero, circa altri 200 milioni - ma basteranno anche per AirOne?). Il rimborso a creditori (e, forse perfino agli azionisti!?) costerà qualche altro centinaio di milioni (300? Dipende da tanti fattori). Poi ci sono 450 milioni di obbligazioni Alitalia in mano al Tesoro; poiché il rimborso dovrebbe avvenire su fondi pubblici, in ogni caso sono altri 450 milioni che se ne vanno.
Siamo - per ora - attorno al miliardo di Euro. Il piano Air France prevedeva un pagamento allo Stato di circa 300 milioni, l'accollo dei debiti, e 1.500-2.000 esuberi (quindi ammortizzatori sociali verosimilmente ridotti del 75% rispetto a quanto vediamo ora).
Questo è il vero rimpianto. Forse oggi non si può far molto meglio, ma quell'offerta malamente rifiutata continua a pesare.
(laVoce.info)
Le foglie morte non sono
-
Le foglie, che morte non sono,
irradiano in cielo la luce,
filtrata dai rami che, nudi, vestirono.
E mi sembra, camminando,
che pestarle sia peccato
ché ...
1 mese fa
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