di Gianni Vattimo
Ma ci saranno davvero due Italie, come suggerisce Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della sera del 13 luglio, oppure ce n’è anche un terza che ci costringe a rifare i nostri conti? Le due Italie diverse che Galli distingue e descrive sono, come si può immaginare, quella che, a torto o a ragione, vota Berlusconi e che se ne sente rappresentata; l’altra è quella degli intellettuali di sinistra con il loro corteo di comici, attori, nani e ballerine, politici trombati e nostalgici del comunismo.
Che, manco a dirlo, si sentono sempre i migliori, diversi da quella massa di persone che si lasciano abbindolare dalla propaganda berlusconesca e perdonano al cavaliere i tratti leggermente (?) furfanteschi che marcano la sua carriera, e che in fondo sono tanto «italiani», tanto espressivi delle nostre più profonde caratteristiche nazionali. I moralisti di sinistra si sono da ultimo espressi, si fa per dire, nel triste spettacolo di Piazza Navona (peraltro così unanimemente condannato; dunque non sono poi tanti...), mostrandosi per quello che sono, presuntuosi, antipatici, e fondamentalmente antidemocratici, perché disprezzano la volontà della maggioranza che oggi sostiene questo governo.
Ma Galli di quale Italia fa parte? Al di là del popolo bue e degli antipatici moralisti di sinistra, che credono di parlare in nome dei veri interessi dei cittadini ma si crogiolano solo nei loro pregiudizi ideologici, non dovremo riconoscere anche una terza categoria, quella che per l’appunto, in nome di una razionalità davvero super partes, giudica e valuta le altre due posizioni e le ammonisce a vincere finalmente i propri difetti? Si badi che non è un problema da poco, anche filosofico.
La democrazia sarà davvero la lotta tra parti e interessi diversi che a un certo punto si accordano per amore di pace e sopravvivenza, oppure dovrà essere sancita da una istanza superiore - Galli della Loggia e affini - che distribuisce colpe e meriti e distingue i «veri» democratici dai democratici spurii? Sembra che qui si finisca ancora una volta nel vicolo cieco della scomunica papale del relativismo, che però non può nascondere le proprie radici autoritarie. Galli, e quelli come lui, ammettono di essere solo interlocutori del (famigerato ormai) «dialogo», oppure si riservano la, moralistica, parte del giudice? Ma se è così, davvero preferiamo Sabina Guzzanti e il suo irresistibile turpiloquio.
(La Stampa)
Le foglie morte non sono
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Le foglie, che morte non sono,
irradiano in cielo la luce,
filtrata dai rami che, nudi, vestirono.
E mi sembra, camminando,
che pestarle sia peccato
ché ...
1 mese fa
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